(foto Ansa)

Piccola posta

La doppia anima del sovranismo nella Supercoppa italiana a Riad

Adriano Sofri

I fischi al minuto di silenzio per Gigi Riva, il calcio italiano in Arabia Saudita e il sovranismo bicefalo

Sono tornato in Italia in tempo per accendere la televisione e vedere una giovane signora velata portare un’enorme coppa cromata alla tribuna dalla quale sarebbe stata assegnata al vincitore della finale fra Inter e Napoli. Eravamo a Riad, era normale che fosse così. Caso mai uno come me, che segue poco, si poteva chiedere perché fossimo a Riad, ma ho fatto presto ad appurare che succedeva da un bel po’, e a quali tariffe. Ho avuto un breve rimpianto per la giovane croata in bikini sugli spalti del Qatar, ma l’Arabia Saudita è più cauta. La comprensione italiana per le diversità culturali è del resto, salvi colpi di coda del fanatismo, molto generosa.

Così per esempio nella spiegazione antropologica sui fischi al minuto di silenzio per Gigi Riva, dovuti, dicono le autorità competenti, al fatto che nella cultura araba non c’è l’abitudine alla commemorazione attraverso il silenzio. E’ singolare questa mistura di accoglienza e chiusura che caratterizza la contemporaneità sovranista, il torneo italiano a Riad e la guerra del golfo con lo Yemen e il fermo della Open Arms. Ho letto con attenzione molti ricordi di Gigi Riva, colpiti dalla coincidenza fra la sua morte e quella finale così fuori casa. Riva si descriveva come uomo di silenzi, così come vengono descritti i sardi. Aveva conosciuto il mondo anche lui, e aveva segnato un po’ dappertutto. In uno di quegli articoli si diceva: “proprio mentre si giocava la Supercoppa italiana, a quattromila chilometri di distanza...”. In una recente e rara intervista, a Elvira Serra, ripubblicata sul Corriere, alla domanda: “Il suo angolo del cuore?”, Gigi Riva aveva risposto: “Forse il tratto tra Pula e Villasimius”.

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