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Putin muove armi, uomini e icone. Guai in vista per la “Trinità” di Rublëv

Adriano Sofri

Un'opera che sarà esposta senza protezione alla devozione dei fedeli nella Cattedrale del Redentore a Mosca. Una decisione presa ignorando gli avvertimenti sui danni cui la più celebre e la più santa delle icone sarebbe incorsa

"Esiste la ‘Trinità’ di Rublëv, perciò Dio è": scrive così Pavel Florenskij (ne “Le porte regali. Saggio sull’icona”, Adelphi 1977). Anche per molti discendenti della “Trinità” di Masaccio, e non credenti, ed estranei al miracolo della pittura di icone, è il dipinto più bello del mondo. Ieri Anna Zafesova sulla Stampa dava notizia del suo spostamento dalla Galleria Tretyakov, dov’era conservata da un secolo per preservarla da guerre, intemperie e guasti ambientali: va per un anno alla Cattedrale del Redentore a Mosca, poi da lì al luogo in cui era stata dipinta nel 1422, il monastero della Trinità di san Sergio di Radonež, a 75 km a nordest della capitale. Uno spostamento al Lavra di san Sergio era già avvenuto l’anno scorso, per la celebrazione dei 600 anni dalla traslazione delle reliquie del santo. In ambedue le circostanze la decisione è venuta da Putin, ignorando gli avvertimenti e la resistenza dei curatori della Galleria e degli studiosi sui danni irreparabili cui la più celebre e la più santa delle icone sarebbe incorsa una volta esposta senza protezione alla devozione dei fedeli, fumo perenne di candele, umidità di fiati, sbalzi di temperatura. Non c’è chiesa ortodossa, del resto, che non contenga una o più copie della “Trinità”, meta di preghiere e voti. Così anche in tutte le chiese ucraine.

Zafesova ricorda il licenziamento in tronco della prestigiosa direttrice della Tretyakov, Zelfira Tregulova, sostituita da Elena Pronicheva, ignara d’arte ma figlia di un grosso generale del Fsb – il servizio erede del Kgb: magnifico aneddoto.

Sono anch’io fra quanti pensano a quel dipinto come al più bello. Ho potuto visitarlo più volte dov’era custodito, e visitare il monastero. Ho letto quello che ho trovato sopra le innumerevoli interpretazioni, spesso ispirate, altre volte ingegnose e suggestive. Me ne è restata una specie di devozione alle figure rese serenamente meravigliose da qualcosa che sanno solo loro, e che si lascia, se non immaginare, vedere.

Per la fama di Rublëv molto fece il bellissimo film di Tarkovskij del 1966, in bianco e nero salva l’esplosione finale dei particolari dei dipinti a colori. Oggi, se aprite la rete al nome “Trinità di Rublëv”, trovate che probabilmente è il dipinto per il quale più alta è la domanda di riproduzioni nel mondo. L’opera che ha forse soppiantato i capolavori letterari che hanno fatto la gloria mondiale della Russia. Ora la “Trinità” di Rublëv è stata rinazionalizzata, in omaggio all’alleanza fra il Cremlino di Putin e il Patriarcato di Kirill, e in nome di una restituzione alla venerazione popolare, che se ne consoli e la consumi. Un’altra delle perdite da ascrivere alla guerra all’Ucraina, non delle minori.

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