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Piccola posta

Il mestiere dell'ombra

Adriano Sofri

Rari scrittori mancati, che scompaiono, invisibili agli occhi di chi legge. E proprio per questo, bravissimi

Ho ascoltato, senza premeditazione, due interventi radiofonici di Renata Colorni, l’uno a ridosso dell’altro. Il primo chiudeva un convegno dell’Istituto di studi federalisti, il 9 gennaio, dedicato a sua madre: “Un’europea errante. A 30 anni dalla scomparsa di Ursula Hirschmann”. Trasmesso da Radio Radicale, breve, molto bello, serenamente generoso. Vi nominava il regalo prezioso della lingua tedesca sul quale avrebbe fondato il suo lavoro di traduttrice letteraria, al centro del secondo intervento, l’intervista a Radio 3 con Loredana Lipperini, ritrasmessa la notte di giovedì. L’occasione qui era Il mestiere dell’ombra, ed. Henri Beyle, 104 pp., uscito a novembre. Il mestiere dell’ombra è la traduzione. Non ho visto ancora il libro, l’intervista era bellissima.

     

  

Colorni diceva del pregio peculiare della buona traduttrice, del buon traduttore: scomparire, rendersi invisibile agli occhi di chi legge. Il traduttore, diceva, è uno scrittore mancato, così sembrando riconoscerne una qualità minore, di seconda fila, di ombra appunto. Ma aggiungendo subito che il buon traduttore è un bravissimo scrittore mancato. Scrittori mancati si può essere tutti, o quasi: farne il fondamento della propria bravura di traduttori è affare di pochi. (Il maschile, traduttori, pochi, bravi, qui è ancora più convenzionale che altrove, dal momento che è di donne il fior fiore delle traduzioni sulle quali abbiamo riconosciuto la grande letteratura). E la traduzione deve spesso inventare uno stile nuovo e peculiare nella propria lingua, per rendere novità e suono dell’originale, sicché succede che la letteratura italiana si popoli di epigoni che pensano di scrivere alla maniera di Thomas Bernhard, e scrivono invece alla maniera di Renata Colorni traduttrice e innovatrice (autorizzata) di Bernhard. La sommarietà del riassunto è mia, naturalmente. Anche riferendo nella stessa lingua si traduce e tradisce: trovate in rete l’originale, che raccomando.

 

Colorni è stata autrice di un numero ingente di imprese editoriali (tutto Freud per Boringhieri) e traduzioni capitali, Canetti, Roth, Werfel, Schnitzler, Dürrenmatt, e di altrettanto influenti revisioni di traduzioni altrui. In un caso, la nuova traduzione del Zauberberg di Thomas Mann, per i Meridiani 2010, provai una renitenza perché ero troppo affezionato alla versione antica di Ervino Pocar, che ora si doveva tradire fin dal titolo, La montagna magica in luogo della Montagna incantata. Ho ceduto, naturalmente, godendo, insieme alla formidabile guida dei commenti di Luca Crescenzi, dell’esecuzione di Colorni, come ascoltando una musica orecchiata da una voce nuova, vibrante e sicura.

   

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