Migranti lasciano il campo profughi in fiamme di Lipa, Bosnia-Erzegovina, il 29 dicembre 2020 (foto: Ansa)

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L'anno nella neve e nella fame

Adriano Sofri

I profughi in Bosnia, i terremotati della Croazia: per alcuni il Covid non è stata la grande calamità di questo 2020

Tra Bihać e Velika Kladuša, nel cantone Una-Sana della Bosnia-Herzegovina nordoccidentale, alcune migliaia di profughi dal medio oriente, dall’Asia e dall’Africa si aggirano, ormai privi anche dei cosiddetti campi senza acqua e luce in cui erano ammassati finché la stagione lo permetteva, e sono stati “incendiati”, come se si potesse incendiare il niente, dunque si aggirano come spettri ai confini dell’Europa, più precisamente al confine ferocemente munito con la Croazia. Si aggirano con le ciabatte d’ordinanza nella neve alta e nei boschi, cacciati senza tregua e soccorsi da pochi strenui volontari. Loro, i superstiti, si ricorderanno del 2020 che finisce come dell’anno in cui si aggiravano donne, bambini e uomini nella neve e nella fame.

  

  

La Croazia è stata colpita ieri da un forte terremoto che ha ridotto in macerie la cittadina di Petrinja e provocato morti, feriti e danni gravi nell’intera regione, compresa la vicina Bosnia di Bihać e Velika Kladuša. I cittadini croati di Petrinja, Sisak e delle altre città e paesi si ricorderanno del 2020 che finisce come dell’anno in cui il terremoto distrusse le loro case.

 

Noi, gli altri, ci ricorderemo del 2020 che finisce come del 2020 che era cominciato da poco, soltanto come dell’anno del Covid. L’anno di tutti, di Petrinja, di Bihac, dei profughi della terra.

 

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