(AP Photo/Markus Schreiber) 

Piccola Posta

Nella testa di chi ha sfregiato le opere d'arte nei musei di Berlino

Adriano Sofri

Lo scorso 3 ottobre un certo Attila ha rovinato quadri e statue nella capitale tedesca. Ci sono menti in cui non entrare, e terga da prendere a calci, finché si è in tempo

I giornali riferivano ieri che lo scorso 3 ottobre qualche farabutto aveva sfregiato una settantina di opere custodite nella celebre Isola dei Musei a Berlino. Non dicevano quali, e non lo diceva il comunicato della direzione dei musei, appellandosi al riserbo dell’indagine, e sembrando più rassicurante. In particolare, scrivendo che “i dipinti non sono stati direttamente colpiti”, e che alcuni manufatti in pietra erano già stati ripuliti delle macchie oleose. I giornali indicavano un sospetto, che si era fatto conoscere per aver a lungo tenuto concioni, sulla scalinata d’accesso, contro il satanismo dell’Altare di Pergamo, e aver additato quelle magnifiche antichità orientali come untrici del coronavirus. Questa testa di cazzo per giunta si chiama, di nome, Attila. Siccome l’Europa esiste, come il mondo del resto, non c’è quasi nessuno che non ami specialmente alcune opere dell’Isola berlinese, e io anche.

 

Così, lette le prime allarmanti cronache, mi sono chiesto che cosa fosse stato di loro, delle mie. E, con la perversione che prende di fronte ai comportamenti inconcepibili, ho provato a mettermi nella mente di quell’Attila, “ex cuoco vegano” (non so se ex cuoco o ex vegano, ma le due categorie sono incolpevoli) e ributtante antisemita e negazionista. In questo transfert, ho fatto scorrere le 433 immagini di opere esposte online dai musei relativi, chiedendomi contro quali era più probabile che un simile pezzo di fesso avesse voluto infierire. Ho tremato per Nefertiti, per la via delle processioni e la porta di Ishtar, per i Rembrandt e i Botticelli (la Venere!), per la piccola Afrodite e i Tre Principi Uiguri, e le tante Susanne coi vecchioni, e Giotto e le divinità tantriche, Amore vincitore di Caravaggio e la Testa di pietra verde del prete tolomeico.

 

E siccome sono un turista di gusti comuni, e ce l’ho sepolto sulla strada di casa, l’Arnold Böcklin della terza Isola dei morti (quella già di Hitler, mannaggia, mi pare). E, immancabile, Caspar David Friedrich, soprattutto il Monaco in riva al mare e la Signora alla finestra. Mettersi in simili panni altrui è rischioso, e quando mi sono accorto che mi stavo chiedendo che cosa avrei dato in cambio della salvezza dei miei prediletti – avrei dato un Renoir, perfino un Manet, Dio mi perdoni, un cranio di sapiens, una “Conchita Wurst sulla falce di luna” – ho smesso per l’imbarazzo e sono tornato nei panni miei. Ci sono menti in cui non entrare, e terga da prendere a calci, finché si è in tempo.

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