Piccola Posta

Riascoltare “Le gros Lulu” per ricordare Juliette Gréco e la sua Manouchka

Adriano Sofri

La cantante francese è morta a 93 anni. Il ricordo di lei, della sua voce e della sua musica si intreccia a quello di un'altra donna, fondamentale nella sua vita, Simone Triadou

Si viveva, da lontano, di donne e canzoni francesi, fine 50 primi 60. Nel 1961 Juliette Gréco cantò una canzone che mi sembrò bella, dunque non ha smesso di sembrarmi bella. “Le gros Lulu”, s’intitola.

  

  

Storia di uno sulla cinquantina o più, un po’ sovrappeso, che va in giro per Parigi una notte di giugno e incontra una sedicenne alla deriva, e qualcosa di lei lo fa fermare. Le dice parole gentili, lei non le sente nemmeno ma lo segue. Avrebbe seguito anche il diavolo, allora perché non lui, con la sua aria da buon diavolo? La porta nella sua casa da ricchi, la insedia come una regina, lei non gli racconta la sua vita, lui non chiede, inventa le più belle storie e trova i più bei gesti per farla sorridere. I borghesi e le duchesse e le relazioni mormorano, come si fa, nei salotti: per quanto dicano e maldicano, il gros Lulu sa di non aver mai posato la mano sulla sua principessa di sedici anni. Altri, più saggi e meno malevoli, si chiedono che cosa brilli nel gros Lulu mutato, e che cosa leghi quella cerbiatta a quel cinghiale. A sedici anni le disperazioni passano, e lei lo lasciò senza una parola di ringraziamento, e lui non pensò che fosse ingrata, si sorrisero e basta. Fu come perdere la vita, per il gros Lulu, se ne accorse solo dopo che fu partita. Lei ci guadagnò qualcosa come un talismano, o di poter pensare, quando tutto è orribile, al gros Lulu.

 

 

Bene, sentitela o risentitela, è un’occasione magnifica per le modulazioni della voce di Gréco. Lei diceva il nome degli autori di ogni canzone, prima di cantarla. Qui diceva “di Manouchka”, non mi ero mai chiesto chi fosse. Si chiamava Simone Triadou, è nata nel 1935 e morta nel 2013, l’aveva scritta a vent’anni, con Henri Deney. Nel 1960 a Parigi Simone sentì Boby Lapointe cantare una canzone in cui Caracas faceva rima con Pézenas, la cittadina della Linguadoca in cui erano nati sia lei che Boby (e, qualcuno arrischia, Molière). Si sposarono subito appassionatamente e si separarono tempestosamente due anni dopo. Lei non ha ancora una voce in Wikipedia. “Le gros Lulu” cantata da lei – è in rete – ha qualcosa di arditamente adolescente, se non d’infantile, come se lei fosse un po’ più dalla parte della cerbiatta, e Juliette un po’ più dalla parte del cinghiale. Manouchka scrisse per altre e altri cantanti di fama e pubblicò tre 45 giri suoi con quattro canzoni l’uno. Sul retro di uno Juliette Gréco scrisse: “So che amate ‘Le gros Lulu’. Io amo Manouchka”. Così oggi posso salutarle insieme.

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