Rifugiati provenienti dal Kurdistan iracheno celebrano Newroz, la festa di primavera per i curdi a Idomeni, Grecia (foto LaPresse)

Il Kurdistan al voto per l'indipendenza. Da cosa dipenderà il suo successo

Adriano Sofri

Fissata la data della consultazione. Ha a che fare con il contesto internazionale, con l’imminente fine del Califfato territoriale e con l’enorme confusione sotto il sole

Il Governo regionale curdo (il Kurdistan cosiddetto iracheno) ha dunque fissato la data del referendum per l’indipendenza: il prossimo 25 settembre. I suoi cittadini saranno chiamati a rispondere alla domanda: “Volete l’indipendenza del Kurdistan?”. Al referendum parteciperanno anche i cosiddetti territori contesi con Baghdad, che i curdi considerano da tempo acquisiti – ritornati – alla loro appartenenza, in primo luogo Kirkuk, grande città con forti minoranze araba e turcomanna. Sono state fissate anche le elezioni politiche per il nuovo Parlamento da tenere dopo il referendum, al prossimo 6 novembre. La decisione è stata presa con un largo consenso dei partiti. Il partito Gorran e un partito islamico hanno disertato la fissazione di referendum e date: non sono contrari al referendum ma rivendicano la riapertura del parlamento, chiuso dall’autunno 2015, dopo la rottura fra il Pdk di Erbil e il Gorran, accusato di aver istigato manifestazioni nella provincia di Suleimanya che portarono all’assalto di sedi del Pdk e all’uccisione di alcuni suoi membri. Il Gorran (“Cambiamento”), nato nel 2009 da una scissione nel Puk, ebbe dapprima un forte successo elettorale fondato sulla denuncia della corruzione e sulla promessa di novità, ma ha progressivamente perduto gran parte del suo credito. Il suo leader storico, Nawshirwan Mustafa, è morto lo scorso maggio.

   

Che il Krg sarebbe andato al referendum, era scontato da tempo. Scontato è anche l’esito. La fissazione della data ha significativamente a che fare con il contesto internazionale, e soprattutto due circostanze: l’imminente fine del Califfato territoriale, e l’enorme confusione sotto il sole. Quest’ultima fa del Krg un rarissimo elemento di stabilità ed equilibrio, e al tempo stesso lo rende ostaggio delle pressioni di tutti i poteri confinanti e remoti. Si capisce che l’indipendenza di un paese che confina con la Turchia, la Siria fatta a pezzi, l’Iran persiano e l’Iraq arabo, ambedue a maggioranza sciita, sia al tempo stesso protetto e minacciato dalle rivalità dei vicini. Le quali esaltano le forti rivalità interne. Al tempo stesso, un Kurdistan indipendente con una popolazione fra i 5 e i 6 milioni che disponga liberamente delle enormi risorse di gas e petrolio attrae gli appetiti finanziari e gli investimenti universali. Il Krg ha una quantità di nemici alle porte, e qualcuno dentro le porte: conti difficili da regolare col Pkk e con i curdi del Rojava siriano, difficilissimi con le milizie Hashd al Shabi irachene di obbedienza iraniana, soprattutto. E le sue divisioni interne. L’indipendenza è un traguardo glorioso per i curdi – per una loro parte. La sua forza dipenderà da un fattore militare – quello che ha messo Kirkuk in mano ai peshmerga dopo l’assalto dell’Isis e la disfatta irachena – e da uno economico. E dalla lungimiranza dei suoi dirigenti. Auguri.