(foto LaPresse)

Perché in Francia sono i giovani islamici i più estremizzati

Adriano Sofri
Il Monde riferiva ieri i risultati di un sondaggio sui musulmani in Francia, il più ampio mai condotto. L’indagine assegna un 28 per cento della popolazione musulmana francese all’islam definito “fondamentalista e secessionista”. Ma precisa che  i giovani fra i 15 anni e i 25 aderiscono per più della metà a questa accezione dell’islam.

Il Monde riferiva ieri i risultati di un sondaggio sui musulmani in Francia, il più ampio mai condotto. L’indagine assegna un 28 per cento della popolazione musulmana francese all’islam definito “fondamentalista e secessionista”. Ma precisa che  i giovani fra i 15 anni (le età inferiori non sono state prese in conto) e i 25 aderiscono per più della metà a questa accezione dell’islam. L’aspetto generazionale è quello che colpisce di più nella ricerca, a cominciare dall’età media, che per i musulmani è di 35,8 anni, contro 53 anni dei cristiani e 43,5 per “altre religioni”. Valutata al 5,6 per cento la quota di popolazione musulmana sul totale, nella fascia fra i 15 e i 25 anni essa sale al 10 per cento. Il dato più interessante (e allarmante, mi pare) riguarda l’atteggiamento nei confronti di regole e modi di vita: l’alimentazione halal, il velo, la poligamia… Fra i maggiori di 40 anni solo un 20 per cento è favorevole al niqab, mentre fra i giovani tra i 15 e i 25 il favore sale al 40 per cento. Perfino nei confronti della poligamia c’è un maggior favore dei ragazzi e dei giovani. (Senza differenza fra maschi e femmine, le quali anzi si dicono favorevoli al velo in proporzione maggiore che i maschi).

 

Queste risultanze sembrano confermare la nota differenza fra le prime generazioni desiderose di integrazione e le successive in cerca di un’identità su cui fondare un sentimento di estraneità e ribellione. Ma colpisce che in questa ricerca i giovanissimi aderiscano a norme sociali e costumi, soprattutto sessuali, patriarcali e bigotti, riconosciuti evidentemente come il contraltare al senso di fondo della vita francese e occidentale, la libertà e l’antiproibizionismo dei costumi, soprattutto sessuali. Il ripudio dei modi di vita liberi e scandalosi non è una derivazione dall’adesione religiosa, piuttosto è quest’ultima, la re-islamizzazione, la veste che prende quel ripudio.

 

Le religioni sono affari complessi. Sono bisogno di Dio, amor di Dio, esercizio dell’intelligenza attorno all’idea di Dio, strumento di regno, e tutto il resto che si sa. Ma sono sempre anche, e molto spesso soprattutto, organizzazioni di precetti rigorosi e feroci attorno ai modi di vivere. Lo era la religione dell’Antico testamento, lo è stata e lo è ancora fin troppo la cristiana e in particolare la cattolica, lo è con un rincarato fanatismo l’islamismo della sharia. Il modo di vita occidentale è il frutto di una progressiva liberazione dall’accanimento normativo nei confronti dei corpi umani, e soprattutto dei corpi femminili. Più che di una liberazione, di un progressivo – e poi, nell’arco di una sola generazione, rapido e travolgente – antiproibizionismo. Lo stesso pontificato di Francesco, assai più sobriamente di quanto non temano i suoi nemici interni, è tendenzialmente antiproibizionista.

 

Se questo è vero, ed è vero che la presa islamista sui giovani musulmani è parte di una guerra universale di riconquista, c’è un problema che ci riguarda e riguarda specialmente la Francia. Perché la reazione “laica” che si traduca in proibizioni – leggi, ordinanze, regolamenti di spiaggia- sul velo, l’abbigliamento, le manifestazioni di identità religiosa eccetera, finisce sullo stesso piano della proterva vendetta patriarcale e fanatica che vuole sventare. Il proibizionismo di ritorno è una cattiva tentazione fra il confronto culturale e il buon ricorso alla polizia.

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