La buona ribellione contro la cattiva politica

Adriano Sofri
Caro Giovanni De Mauro, ho letto il tuo editoriale su Internazionale. Tu metti a confronto quello che i cittadini romani (e non solo romani) pensavano e speravano di discutere, progettare, sperimentare, con quello che in realtà è avvenuto e continua ad avvenire.

Caro Giovanni De Mauro, ho letto il tuo editoriale su Internazionale. Tu metti a confronto quello che i cittadini romani (e non solo romani) pensavano e speravano di discutere, progettare, sperimentare, con quello che in realtà è avvenuto e continua ad avvenire. Confronto amaro ed eloquente, rispetto al quale la sola eventuale differenza fra te che scrivi e me che ti leggo sta nella mia bassissima aspettativa. E’ la tua conclusione a lasciarmi perplesso. Tu scrivi di una “classe politica nel suo complesso” che usa gli umori popolari per farsi la guerra e prendere o tenere il potere. “Dei cittadini  non gliene importa nulla, anzi probabilmente li disprezza. Sono trattati come sudditi…”. E concludi: “C’è da sperare che i sudditi decidano di ribellarsi, per diventare – o tornare – cittadini e riscattare la politica”.

 

Che cosa mi scontenta di un auspicio così ragionevole e limpido? Questo: che una vocina molesta mi dice che da non so quanti anni i sudditi non fanno che ribellarsi, e interpretare la propria parte come una ribellione via via più rabbiosa alla cattiva politica -e via via alla politica tutta intera, tutta cattiva. Non riuscirei nemmeno a fare un elenco adeguato di tutte le manifestazioni che ha preso questa ribellione, e di tutti i nomi di persone o di cose che l’hanno incarnata e confiscata, Di Pietro e Bossi, i Forconi e le Cinque Stelle… Anche il berlusconismo si è raccontato come una ribellione. E anche le innumerevoli offerte successive di una supposta “sinistra radicale” di gloriosa meschinità. L’elenco dovrebbe nominare accanto a partiti e capipopolo altrettanti giornali e giornalisti. Io amo molto le ribellioni, so che ribellarsi è piuttosto giusto, e non me ne nego ancora il piacere, quando se ne offra una buona occasione (me ne sono state offerte) e abbia almeno un piccolo costo – se no, è solo furbizia.

 

Però sento in questa lunga e travisata ribellione ondeggiante da una parte all’altra fino ad annullare le differenze fra una parte e l’altra una frustrazione, un coltivato vittimismo, una delega rancorosa alla demagogia e ai suoi piazzisti. Penso che ci siano molte persone e gruppi di persone che stanno fuori dalla cattiva politica e dallo sfogo della ribellione, che studiano e fanno cose buone insieme e facendole si fanno una preparazione e una competenza e anche un’esperienza dei rapporti umani e del loro ruolo nell’impegno a far migliore il mondo, o meno peggiore. Forse una classe dirigente si forma lì, e da lì si mette in rapporto con la politica generale, i modi di governo delle persone e delle cose, oppure se ne tiene, provvisoriamente o no, alla larga, per la sensazione che cattiva politica e cattiva ribellione si alimentino a vicenda e siano diventate il circolo vizioso in cui sta e dura una gretta vita pubblica. I cittadini, che ci sono, possono avere a che fare con la politica costituita a partire dalla propria esperienza, da una sicurezza di sé che li renda, piuttosto che pieni di livore e di fanatismo, ironici e perfino indulgenti nei confronti di quelli che hanno o cercano il potere e non si pongono nemmeno più il problema di che cosa farne.

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