Democrazia diretta ai tempi della guerra

Adriano Sofri
A Qamishli, che è la città più importante della Siria curda – il Rojava, “l'occidente” – negli ultimi giorni si sono inaspriti gli scontri fra le forze armate del Ypg, le “Unità di protezione del popolo curdo”, e l'esercito siriano, facendo almeno 30 morti e decine di feriti. I curdi siriani che fan

    A Qamishli, che è la città più importante della Siria curda – il Rojava, “l’occidente” – negli ultimi giorni si sono inaspriti gli scontri fra le forze armate del Ypg, le “Unità di protezione del popolo curdo”, e l’esercito siriano, facendo almeno 30 morti e decine di feriti. I curdi siriani che fanno capo al Pyd, il Partito dell’Unione Democratica, sono stati esclusi dai (languenti) colloqui di Ginevra, e hanno dichiarato lo scorso marzo la propria autonoma federazione regionale. Proviamo a mettere insieme i pezzi di un puzzle impazzito. I curdi siriani (la loro gran maggioranza) sono, dalla battaglia di Kobane, i principali alleati sul terreno degli Stati Uniti. O, se volete, gli Stati Uniti sono, dalla battaglia per Kobane, i decisivi alleati in cielo dei curdi del Rojava. I quali sono la bestia nera della Turchia di Erdogan. La Turchia è alleata degli Stati Uniti e degli altri paesi della Nato, la nemica giurata di Bashar al Assad, e la complice occasionale dei jihadisti in Siria, Isis compreso. Gli altri avversari di Bashar al Assad in Siria hanno spesso accusato i curdi del Rojava di opportunismo nei confronti di Damasco. Da parte loro, i curdi del Rojava hanno affrontato in prima fila le forze dell’Isis a Kobane, e inflitto loro (con l’appoggio decisivo dei bombardamenti americani) la prima rilevante sconfitta, e ora a Qamishli si trovano ad affrontare le forze arabe fedeli a Damasco che intendono conservare il controllo sulla città. Damasco, e soprattutto i russi, oscillano fra la promessa di riconoscimento di un’autonomia curda, per farsene un alleato e per indebolire la Turchia, e la preoccupazione di lasciar crescere un potere troppo incontrollabile da chiunque. Mentre infuriava a Qamishli e nei villaggi vicini la battaglia fra curdi e arabi filo-Assad (ci sono anche arabi locali alleati ai curdi) un attentato suicida dell’Isis ha colpito una zona curda. Questa è la scena sul campo. Appena oltre il confine, il governo turco ha ieri ribadito sprezzantemente di non essere disposto ad alcuna ripresa di negoziati pacifici con i curdi turchi del PKK, coi quali combatte una guerra quotidiana senza esclusione di colpi. E i turchi, nemici giurati di Assad, lo sono almeno altrettanto dei curdi del Rojava…

     

    Sulla cui ideologia, ispirata ad Abdullah Ocalan, ispirato a sua volta all’eco-anarchico americano Murray Bookchin (un Guido Viale ante litteram, lo definii tempo fa, e non scherzavo) l’attenzione della sinistra “occidentale” è tanto alta quanto ritardataria. Ieri ho visto un’intervista sulla Stampa alla figlia di Bookchin, Debbie, e sui giornali inglesi il contemporaneo resoconto di una conferenza londinese di Janet Biehl, compagna e biografa di Bookchin (morto nel 2006). In Italia l’attrazione per l’esperienza comunista e femminista del Rojava aveva tempestivamente attratto molti militanti della sinistra sociale, finché il talento di Zerocalcare le ha dato un’enorme popolarità. Non ho ancora visto, perché sono lontano, il nuovo libro di Zerocalcare, “Kobane calling”. In generale, gli ammiratori dell’impegno, civile prima ancora che militare, del Rojava – che hanno molte ragioni – sottolineano la straordinarietà di un’esperienza di democrazia diretta perseguita nel fuoco di una guerra terribile. Io penso, e proverò ad argomentarlo un’altra volta, che la crescita di quell’esperienza non avvenga “nonostante” il contesto della guerra, ma “per” quel contesto. E’ un po’ inquietante da riconoscere, forse. Tra l’altro, spiega malinconicamente perché un pensiero analogo, ecologista, femminista, democratico e socialista, resti minoritario fino a disseccarsi strada facendo nel nostro spazio e tempo di pace.