Legislatori provenienti da varie regioni dell'Iraq partecipano ad una protesta nel Parlamento di Baghdad (foto LaPresse)

Il marasma del Parlamento di Baghdad (che ricorda un po' il nostro)

Adriano Sofri
Aggiorno quello che ho scritto ieri sul marasma nel parlamento di Baghdad. Cessata l’occupazione, doveva esserci la seduta plenaria. Curdi, sunniti a alcuni sciiti hanno abbandonato l’aula.

Aggiorno quello che ho scritto ieri sul marasma nel parlamento di Baghdad. Cessata l’occupazione, doveva esserci la seduta plenaria. Curdi, sunniti a alcuni sciiti hanno abbandonato l’aula. I restanti, con la presidenza del decano, hanno votato per defenestrare il presidente del parlamento, il sunnita Salim Jabouri, solo in 130, dunque 35 in meno della maggioranza richiesta sul totale di 328 membri. Il gruppo del KRG, il Kurdistan iracheno, che comprende 67 eletti, è contro la sostituzione: per i curdi, e non solo, la bestia nera è Maliki. Sembra che per il momento la pressione americana abbia prevalso, coinvolgendo buona parte dei partiti iraniani.

 

Anche l’arruffapopoli al Sadr dice di aver fatto votare i suoi in extremis per lasciare le cose come stanno in parlamento, confermando il suo ultimatum, l’ultimo di una lunga serie, a Haidar al-Abadi, che questa volta ha 72 ore a partire da lunedì per il rimpasto “riformatore” del suo governo. Se no la folla dei suoi, che già lunedì ha fatto chiudere alcuni ministeri, provvederà a buttarli fuori. Capisco che sia difficile per i lettori italiani valutare adeguatamente la portata della crisi di Baghdad, dal momento che i bellimbusti della nostra vita pubblica ci hanno abituati a un linguaggio analogo se non più fiammeggiante.    

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