La percezione del caldo. Differenze fra chi conosce la galera e gli altri

Adriano Sofri
Ho aspettato un bel po’ di giorni, leggendo tutti i giornali che trovavo, e intanto faceva sempre più caldo.

    Ho aspettato un bel po’ di giorni, leggendo tutti i giornali che trovavo, e intanto faceva sempre più caldo. Ho ascoltato i bollettini sanitari sulle categorie a rischio, i servizi dei telegiornali su come resistere alla calura, le interviste ai turisti, le denunce finto-scandalizzate sui tuffi dentro la fontana dei fiumi a piazza Navona. Dunque è ora di spiegarvi la differenza fra chi conosce la galera e gli altri. Gli altri dicono: “Fa un caldo da morire”. Chi conosce la galera sa che stanno davvero crepando di caldo, là dentro. Là dentro si sta chiusi, c’è una finestra di tre strati di ferro arroventato – due filari di sbarre, e una griglia fitta, che impedisca di passarci un dito. Si sta chiusi dietro un doppio cancello, uno di sbarre e uno blindato compatto – a volte, se sono buoni, aprono il blindo, per l’eventualità che un po’ d’aria calda si muova. In genere manca l’acqua, per molte ore; a volte manca e basta. Per esempio nei giorni scorsi ad Avellino, e ci sono stati disordini, dicono i trafiletti locali. Caldo per caldo, i detenuti hanno dato fuoco ai materassi. I materassi: sono di una gommapiuma spugnosa madida di sudori e altri umori. Nelle celle non c’è spazio per andare avanti e indietro di qualche passo se non a turno. Delle zanzare, già disse Silvio Pellico. Ecco. Quando voi dite: “Fa un caldo da morire”, chi conosce la galera non lo dice, perché si ricorda che là stanno davvero crepando di caldo. E di tutto.