Mario Ciancio Sanfilippo (foto Imagoeconomica)

Paradossi dell'antimafia

Rocco Todero

Una confisca da 150 milioni di euro giustificata anche da una linea editoriale di un quotidiano che non avrebbe lottato contro la mafia

Nella vicenda giudiziaria che riguarda l’imprenditore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, non è bastato provvedere alla confisca (previo sequestro) di un patrimonio stimato nell’ordine di 150 milioni di euro, sulla base di una norma di legge che costringe il cittadino a dovere giustificare la provenienza legittima di tutti i suoi beni, anche di quelli acquistati decine di anni or sono, pena la dichiarazione di pericolosità sociale e l’acquisizione di tutti i beni nella proprietà dello Stato.

Non è stato nemmeno sufficiente procedere all’espropriazione di un così ingente complesso di beni mobili ed immobili, senza nemmeno potere esibire elementi che possano assurgere a dignità di prova vera e propria in un processo penale.

Nè ci si è accontentati di procedere ad un esproprio di così enormi proporzioni a prescindere dall’esercizio dell’azione penale e prima ancora che un Tribunale possa definitivamente chiarire se Mario Ciancio Sanfilippo sia stato o no contiguo alle organizzazioni mafiose siciliane.

E’ stato necessario, invece, affermare che la pericolosità sociale dell’editore siciliano fosse riconducibile anche “Alla linea editoriale imposta dal Ciancio alla testata giornalistica che vanta il maggior numero di lettori nella Sicilia Orientale, linea editoriale improntata alla finalità di mantenere nell’ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese direttamente o per interposta persona controllate dalla medesima; di non porre all’attenzione dell’opinione pubblica gli esponenti mafiosi non ancora pubblicamente coinvolti dalle indagini giudiziarie e sopratutto l’ampia rete di connivenze e collusioni sulle quali questo sodalizio mafioso poteva contare per mantenere la propria influenza nella provincia catanese” (così il comunicato stampa della Procura della Repubblica di Catania)

Quindi, se non abbiamo capito male, un editore può essere definito socialmente pericoloso perché ha deciso (per scelta economica, per codardia, per quieto vivere) di non parlare di mafia sul giornale di cui è proprietario e perché non se l’è sentita di dare del “mafioso” sul proprio quotidiano ad esponenti mafiosi non ancora pubblicamente coinvolti dalle indagini giudiziarie.

Insomma, se non fai da gran cassa alla lotta a quella mafia che nemmeno la magistratura ancora ha scoperto essere mafia sei mafioso, anzi peggio, sei socialmente pericoloso e meriti che ti sia espropriato tutto il patrimonio.