Davvero il Consiglio di Stato ha detto sì al taglio dei vitalizi? Rischio fake news

Rocco Todero

Da Palazzo Spada un articolato parere che ribadisce alcuni capisaldi dello Stato di diritto che non rendono per nulla agevole (per fortuna) il taglio dei vitalizi

Qualche giorno fa le principali testate giornalistiche hanno dato particolare risalto alla notizia secondo la quale il Consiglio di Stato avrebbe espresso parere favorevole al quesito postogli dal Senato della Repubblica circa la possibilità di procedere legittimamente al cosiddetto taglio dei vitalizi nei confronti dei senatori non più in carica.

 

Quasi tutti i resoconti hanno rappresentato le conclusioni del massimo consesso della giustizia amministrativa che ha condizionato la legittimità dei tagli alla necessità che “la nuova disciplina sia razionale e non arbitraria, non pregiudichi in modo irragionevole la situazione oggetto dell’intervento e sussista una causa normativa adeguata e giustificata dall’inderogabile esigenza di intervenire o da un interesse pubblico generale, entrambi riguardati alla luce della consistenza giuridica che ha assunto in concreto l’affidamento”.

 

E’ mancata, tuttavia, una chiara e comprensibile spiegazione del significato reale tanto delle premesse dalle quali il Consiglio di Stato ha preso le mosse, quanto della effettiva portata delle conclusioni che ne sono derivate, cosicché è sembrato che i giudici amministrativi abbiano, in fin dei conti, dato il via libera al taglio dei vitalizi senza prescrivere particolari cautele. Se n’è tratta una conferma dai toni trionfalistici (e bellicosi allo stesso tempo) con i quali alcuni esponenti del movimento cinque stelle hanno commentato il parere di Palazzo Spada.

 

Ma davvero il Consiglio di Stato si è espresso a favore del taglio dei vitalizi?

 

Ad analizzare scrupolosamente il parere richiesto dal Senato della Repubblica, il percorso individuato per potere procedere legittimamente alle decurtazioni sembrerebbe ben più articolato e difficilmente percorribile di quanto si possa pensare dopo la lettura della maggior parte dei quotidiani nazionali.

 

Innanzitutto i giudici amministrativi rammentano come da tempo il vitalizio (allo stesso modo dell’indennità parlamentare) abbia rappresentato una garanzia imprescindibile per l’esercizio del mandato elettivo poiché “può dirsi sorretto dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alle cariche di rappresentanza democratica”. Detto in altre parole: l’approccio ai tagli deve essere improntato alla massima cautela in considerazione del fatto che si pretende d’incidere su una garanzia parlamentare direttamente riconducibile anch’essa all’articolo 69 della Costituzione.

 

Il parere, poi, affida particolare risalto alla garanzia di stabilità che deve accompagnare il riconoscimento del vitalizio già concesso agli ex senatori, in ragione del rilievo costituzionale del principio del legittimo affidamento, qualificato dalla Corte costituzionale (è il Consiglio di Stato che c’ha tenuto a sottolinearlo) “elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto”.

 

Per potere incidere retroattivamente sul legittimo affidamento degli ex senatori alla stabilità del vitalizio occorre rappresentare, chiosa il Collegio amministrativo, un interesse pubblico di pari rango la cui tutela sia direttamente realizzabile per il tramite del taglio stesso.

 

Il Senato, cioè, deve documentare una fondamentale esigenza d’interesse pubblico ed un’urgenza straordinaria, tali da non potere essere soddisfatte (né l’una, né l’altra) in altro modo se non con il taglio dei vitalizi o da non potere fare a meno del contributo rappresentato dal sacrificio degli ex senatori. Qualora, invece, le decurtazioni non fossero direttamente riconducili alla soddisfazione delle predette necessità di carattere economico, le stesse rappresenterebbero un’ingiustificabile violazione della Costituzione repubblicana.

 

A ciò si aggiunga che l’eventuale provvedimento retroattivo, dice il Consiglio di Stato, non potrebbe colpire allo stesso modo tutti i beneficiari, ma dovrebbe rappresentare un’applicazione diretta e puntuale del principio di proporzionalità. Cosicché a seguito del taglio dovrebbe comunque rimanere all’ex senatore un vitalizio non solo adeguato a consentirgli un’esistenza libera e dignitosa ma anche direttamente proporzionale alla durata dell’affidamento che il Senato stesso ha ingenerato nel beneficiario a partire dal momento del riconoscimento dell’utilità economica.

 

Detto altrimenti: gli ex senatori che godono da molto tempo del vitalizio potranno subire esclusivamente decurtazioni minime, mentre nei confronti di coloro a beneficio dei quali il vitalizio è stato riconosciuto da poco tempo si potrà procedere a decurtazioni più sostanziose. Sempre che, è necessario ribadirlo, esista un interesse pubblico di rango costituzionale che non possa essere soddisfatto o la cui tutela non possa fare a meno del contributo partecipativo del taglio dei vitalizi.
Forse alla luce delle spiegazioni del ragionamento complessivamente svolto sarebbero risultate più comprensibili le conclusioni contenute nel parere del Consiglio di Stato e l’interrogativo originario posto dal Senato della Repubblica sarebbe apparso in tutta la sua radicale problematicità: si possono davvero tagliare i vitalizi?

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