Chi permette la violazione del segreto istruttorio sulle intercettazioni?

Rocco Todero

Il Procuratore Gratteri non ha dubbi: a diffondere le intercettazioni non possono che essere pubblici ministeri e polizia giudiziaria. Ma perché tradirebbero le istituzioni?

Intervistato da Giovanni Minoli ai microfoni di Radio 24, mercoledì 17 maggio, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha reso evidente quella che a molti potrebbe apparire una considerazione ovvia, ma che nell’Italia dell’anno del Signore 2017 merita di essere ribadita. La magistratura inquirente nel nostro Paese è composta da numerosi pubblici ministeri che svolgono in silenzio e con elevata professionalità il proprio mestiere. Non tutti si innamorano senza fondamento delle proprie tesi, non tutti sono disposti a soprassedere sul fatto che la prospettiva dell’accusa è una mera ipotesi che deve resistere al vaglio della confutazione dibattimentale per potere assurgere a versione quanto più prossima alla verità, non tutti sono disposti ad affermare “io so” senza avere, tuttavia, prove per dimostrare ciò che credono di sapere. Alcuni non difettano della capacità di autocritica nei confronti delle tendenze più deleterie della categoria cui appartengono.

  

Gratteri, nel corso dell’intervista rilasciata a Minoli, ad esempio, ha affermato senza mezzi termini che la responsabilità per l’illecita diffusione di intercettazioni oggetto di indagini penali preliminari è da ricondurre esclusivamente al personale di polizia giudiziaria assegnato all’inchiesta e ai pubblici ministeri titolari del relativo fascicolo processuale. Nessun altro è materialmente in condizione di rifornire le rotative dei quotidiani del contenuto di atti d’indagini ancora coperti dal segreto istruttorio.
Il Procuratore di Catanzaro è andato oltre, affermando che nessuno fra gli appartenenti alla polizia giudiziaria rischierebbe mai di svelare il contenuto di un’intercettazione se non fosse sicuro di potere godere in qualche modo della copertura del pubblico ministero nel cui gruppo di lavoro è stato assegnato.

 
E rivela un particolare, Gratteri, che pochi fra gli addetti ai lavori potrebbero far finta d’ignorare; esistono “diari di servizio” per mezzo dei quali è possibile risalire, giorno per giorno, ora per ora, ai nominativi di coloro che hanno avuto accesso alle sale di registrazione, polizia giudiziaria e pubblici ministeri compresi.

 
Allo stesso modo, conclude il magistrato, è possibile registrare con certezza il momento esatto in cui il file originale contenente l’intercettazione è stato copiato e trasferito su diverso supporto elettronico.

  

Rimangono da chiarire, a questo punto, le ragioni che hanno impedito sinora di richiamare alle loro responsabilità penali e deontologiche quanti, fra gli appartenenti alla polizia giudiziaria e al corpo della magistratura inquirente, hanno in più occasioni fatto delle intercettazioni illecito mercimonio giornalistico.

 
Nè pare sia stato sufficientemente indagato il movente che spinge servitori dello Stato appartenenti al Corpo dei Carabinieri, della Polizia o della Guardia di Finanza, a mettere a repentaglio la dignità professionale, l’onore dell'Istituzione per la quale prestano servizio e sin anche la propria sorte personale.

 
Interrogativi che non mutano con riguardo a quei magistrati degli uffici inquirenti che avrebbero potuto sollecitare la diffusione illecita delle intercettazioni, che l’avrebbero tollerata o che l’avrebbero persino messa in atto in prima persona.

  

Gli organi di stampa che pubblicano le intercettazioni ancora coperte da segreto istruttorio ritengono di essere autorizzati a contribuire a violare la legge dalla loro missione salvifica della lotta contro il potere e dal diritto di diffondere una notizia, qualsiasi cosa per essa s’intenda. Nessuno può dubitare, però, che esiste anche un mercato economico rilevante dell’editoria che si alimenta grazie alla diffusione di presunti scandali o scoop con i quali si tenta di richiamare l’attenzione di lettori e telespettatori oramai distratti, genericamente incattiviti, allo stesso tempo, contro tutti coloro che potrebbero essere sospettati di avere un ruolo da protagonisti nei retroscena politici con annessi possibili conflitti d'interesse.

  
Ipotizzare che il mercimonio delle intercettazioni si possa alimentare anche dallo scambio economico interessato fra giornali ed investigatori potrebbe essere considerata un’infamia imperdonabile; scoprire che la congettura non era, in realtà, infondata sarebbe, tuttavia, il più funesto degli scandali che nessuno si dovrebbe augurare.

 
Forse si potrebbe più semplicemente ricondurre la disponibilità degli “inquirenti” a svelare anzitempo il segreto istruttorio ad antipatie personali, a contrapposizioni politiche, a lotte di partito o a scontri di potere. Ragioni non meno gravi ed altrettanto censurabili ovviamente.

 

Di sicuro vi è solo che tutte le volte che un’intercettazione ancora coperta da segreto istruttorio finisce sui giornali, qualcuno fra i numerosi servitori dello Stato che hanno giurato fedeltà alle leggi e alla Costituzione ha, in verità, semplicemente tradito le istituzioni. Questo lo riconosce anche il Procuratore Gratteri. Non è questione di poco rilievo.
Ma il movente….