REMEMBER

Mariarosa Mancuso

L’Alzheimer è una sciagura dalle grandi potenzialità narrative. Nelle storie di famiglia, prima di tutto: non esiste racconto dell’orrore paragonabile a una mamma novantenne che in piena regressione infantile invoca la sua, di mamma. Nei thriller, che impongono di osservare i dettagli e tenerli a mente il tempo necessario per esaminarli (in “Memento” di Christopher Nolan l’investigatore prende appunti, usa i post-it, e per le cose davvero importanti ha i tatuaggi sul petto). E in questa storia di sopravvissuti all’Olocausto: tra gli ultimi rimasti e, come se non bastasse, uno ha l’Alzheimer. Si ricorda spesso che i testimoni della tragedia stanno invecchiando e morendo, a questo servono gli archivi della Shoah Foundation fondata nel 1994 da Steven Spielberg. Nessuno ancora aveva pensato – od osato, sostengono alcuni, aggiungendo un sospetto di cattivo gusto – di costruirci sopra una storia. Beninteso, c’è anche chi pensa che non servano le storie, essendo la realtà già abbastanza atroce: nel dibattito era finito anche “Il figlio di Saul”, prima che Claude Lanzmann desse al film di László Nemes il suo sigillo (la vicenda è ben ricostruita da Valentina Pisanty in un articolo uscito sulla rivista online Doppio Zero). Zev, uno dei quasi novantenni, è appena rimasto vedovo e soffre di Alzheimer. L’amico Max, ospite nella stessa casa di riposo, ha la testa lucida ma si muove soltanto con la sedia a rotelle. Insieme a Simon Wiesenthal cacciava nazisti mimetizzati tra i cittadini americani, ora vuol portare a termine l’ultima missione: cercare il torturatore Rudy Kurlander, che la fece franca fingendosi ebreo. Purtroppo non ne esiste uno solo, nell’elenco telefonico, e Zev dalla memoria cedevole – grazie a istruzioni dettagliate, e a una lettera che gli ricorda cosa deve fare e perché – va in Ohio, in Idaho, poi in California e in Canada. Alcuni incontri sono innocui, altri meno, uno è davvero spaventoso (c’entra un cane lupo di nome Eva). “Inverosimile” è la prima obiezione – “come fa un vecchietto male in arnese a girare il mondo…” (mai che la facciano a Sylvester Stallone quando sale sul ring). La bravura di Christopher Plummer, nato nel 1929, rende la faccenda credibile. La trama è solida, i colpi di scena ci sono, peccato per la colonna sonora che imita malamente Ber.

 

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