UNA VOLTA NELLA VITA

Mariarosa Mancuso

Fa sempre impressione vedere al cinema le scuole francesi. Anche di banlieue (in questo film siamo a Créteil, sudest di Parigi). Anche multietniche. In “La schivata” di Abdellatif Kechiche (anno 2003) gli studenti leggevano e recitavano “Il gioco dell’amore e del caso” di Marivaux, testo che i nostri studenti universitari farebbero fatica a collocare. In “La classe” di Laurent Cantet il professore dava del lei agli studenti, esigeva il capoccione fuori dal cappuccio della felpa, insegnava con dovizia di particolari il congiuntivo. Si rivolge con il lei ai suoi studenti – ricambiata – anche Ariane Ascaride, professoressa di storia in questo film, titolo originale “Les Heritiers”. Quanto alla testa coperta, non è consentita neanche alle studentesse che arrivano a ritirare il diploma. I telefonini non stanno accesi sul banco (e si capisce che nessun genitore andrebbe a protestare al Tar contro la proibizione). “Una volta nella vita” racconta la storia vera di Ahmed Dramé (che fa se stesso nel film, il libro è pubblicato da Vallardi): uno studente nero e musulmano che partecipa a un concorso sulla Deportazione e la Resistenza, cambiando idea su quasi tutto. A differenza di “La classe” e “La schivata”, diretti da registi più esperti e meno retorici di Marie-Castille Mention-Schaar, il film spiega un po’ troppo, soprattutto allo spettatore (“Non esistono immagini innocenti”, ribadisce, e trova normalissimo, a differenza dei suoi studenti, che i cristiani mettano Maometto all’inferno, trattandosi di un nemico). Altre immagini – del processo a Adolf Eichmann – sono al centro di “The Eichmann Show”, programmato per soli tre giorni nelle sale (l’ultimo il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria). C’erano da organizzare le riprese televisive del processo, che si tenne nel 1962 a Gerusalemme. I giudici non volevano telecamere a vista (le nascosero nei muri, con una rete metallica antiriflesso). Gli israeliani volevano gli occhi del mondo puntati sul processo, si trovarono Gagarin come concorrente. Regista e produttore litigavano sulla “narrazione”: tenere gli obiettivi fissi sul gelido Eichmann e i suoi occhiali da contabile oppure mostrare le lacrime e gli svenimenti dei testimoni che raccontavano atrocità? Il regista Paul Andrew Williams ha un passo che più didattico non si potrebbe: le scene più interessanti riguardano la messa in scena televisiva.

 

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