MON ROI

Mariarosa Mancuso

Esiste un genere che per capirci chiameremo “masochismo femminile”. Comprende molti film. In cima a tutti troviamo l’inguardabile “La pianista” di Michael Haneke con Isabelle Huppert. In buona posizione sta “Sussurri e grida” di Ingmar Bergman. Il gruppo inseguitore è formato dalla nutrita serie di pellicole dove una lei ama perdutamente un lui che – c’è solo da scegliere – la tradisce, la maltratta, ha una famiglia di riserva in un’altra città, la riempie di sberle, la chiude in casa mentre lui progetta un attentato con gli islamici del quartiere, la rintrona di bugie, le sperpera l’eredità ricevuta dalla nonna. Il contrario non si dà, o almeno non più. Si dava all’epoca delle dark ladies, che i maschi sapevano come trattarli (il disastro ha un nome, “Attrazione fatale” di Adrian Lyne con Glenn Close, ovvero: mi si nota di più se lancio un’occhiataccia da sotto la tesa del cappello, oppure se dò di matto fumando una sigaretta dopo l’altra?). Per motivi che ci sfuggono, le donne invece di evitarli – e divertirsi con una puntata del programma comico di Amy Schumer, oppure andando a ripescare un film con Bette Davis o Joan Crawford – i fim intessuti di masochismo li guardano volentieri, e anzi si commuovono, e li trovano profondissimi, e li consigliano volentieri alle amiche. Il passaparola scatterà puntualmente per “Mon roi”, che comincia con l’insopportabile dialoghetto che potremmo intitolare, facendo il verso ad Achille Campanile, “I legamenti crociati e l’immortalità dell’anima”. “Il corpo manda messaggi”, dice la terapeuta di una clinica sulla costa francese a una quarantenne che i legamenti se li è strappati sciando. Invece della rispostaccia, parte il flashback. Torniamo indietro di dieci anni, al locale dove Emmanuelle Bercot (attrice e regista, suo “A testa alta” con Catherine Deneuve, uscito la scorsa settimana) incontra Vincent Cassel. La coppia perfetta: antipatico lui (anche parecchio sopra le righe, come recitazione) e antipatica lei. Nel giro di pochissimo fanno l’amore sulla pelle d’orso. Poi la relazione si guasta, la separazione è difficile, finché lei ha il fatale incidente. Mentre rievoca le proprie vicissitudini, il ginocchio dotato di inconscio visibilmente migliora: carrozzella, tutore, stampelle, in piedi con il cuore ristabilito. Fa da coro un gruppo di ricoverati, scelti dalla regista Maïwenn per testimoniare l’armonia della Francia multietnica.

 

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