CHIAMATEMI FRANCESCO – IL PAPA DELLA GENTE

Mariarosa Mancuso

Non è un santino. Non è neppure la vita di Papa Francesco prima del conclave decisivo, così come sono soliti raccontarla i film biografici. Però serve un attimo di pazienza, le prime scene sembrano condurre verso la classica costruzione a flashback: uno sguardo alla cupola di San Pietro, un momento di riflessione prima del gran giorno, anche un po’ di malinconia, e un po’ di tramonto. Sappiamo come finirà, con un amichevole “Fratelli e sorelle, buonasera!”, rivolto alla folla riunita in Piazza San Pietro dopo la fumata bianca (fu in quel momento che il nuovo Papa conquistò il cuore dei non credenti tutti, perfino dei mangiapreti: “Tanto alla mano, tanto sudamericano, tanto vicino alla povera gente”). Dal film di Daniele Luchetti – anche lui nella schiera dei non credenti repentinamente conquistati dai modi del pontefice, poi rafforzate dalle testimonianze raccolte in Argentina che lo descrivevano come un uomo d’azione – sappiamo che era cominciata con un rifiuto. Jorge Mario Bergoglio negli anni Sessanta vorrebbe andare in Giappone a fare il missionario, le gerarchie preferiscono di no, hanno deciso altrimenti. Al cuore del film, la dittatura di Videla, e l’abile lavoro di un gesuita che dava rifugio ai perseguitati, cercando di non farsi troppo notare dai superiori che alla dittatura non pensavano minimamente di opporsi. Una resistenza condotta all’interno delle istituzioni religiose, mentre i preti seguaci della teologia della liberazione rischiavano la vita tra i miserabili (al Barrio 31, dietro un banchetto che funge da altare, vedremo anche Jorge Mario Bergoglio, ormai diventato Arcivescovo di Buenos Aires, dire l’ultima messa prima di volare a Roma). Le scene di tortura ricordano – per noi che il mondo lo ripassiamo attraverso il cinema – “Garage Olimpo” di Marco Bechis, altri oppositori venivano buttati giù dagli aerei in volo. Non è un santino, e neppure un istant movie fabbricato in tutta fretta. Bravi e ben scelti sono gli attori, impossibili da trovare nel cinema italiano: il rispetto per il personaggio avrebbe aggiunto pause e impostazioni teatrali, ci sarebbe voluto un esercito di registi urlanti per correggere il tiro. Rodrigo De la Serna viene dai “Diari della motocicletta”, regia di Walter Salles (era Alberto Granado, l’amico di Ernesto Guevara centauro), il cileno Sergio Hernández da “No” e da “Gloria”.

 

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