HUNGER GAMES – IL CANTO DELLA RIVOLTA 2

Mariarosa Mancuso

Siamo stati fan già dal primo film, quando tutti si chiedevano perché le ragazzine facessero la fila davanti ai cinema non per ammirare il faccino di Justin Bieber, ma per ammirare le braccia toste di Katniss Everdeen: una diana cacciatrice dotata di arco e frecce, capace di scoccarle per fame, oltre che per difendersi nei giochi televisivi di sopravvivenza (con abiti-scultura che si incendiavano, un giovanotto meno sveglio di lei al seguito, e un altro bel figo a casa che faceva il tifo). Era finita nell’arena al posto della sorellina, estratta a sorte nel distretto per partecipare ai “giochi della fame”, appunto gli Hunger Games: i circenses in uno stato battezzato Panem, a contrario perché affama i suoi abitanti. Le risorse sono consumate dai ricconi di Capitol City, i crudeli giochi in cui solo una coppia di adolescenti resterà viva servono a evitare le rivolte popolari. Siamo stati fan del primo film (tratto dalla trilogia di Suzanne Collins, diretto nel 2012 da Gary Ross) e quindi in buona posizione per dire che il terzo film – equivalente a metà dell’ultimo romanzo, per prolungare gli incassi – era parecchio noioso, e finiva bruscamente con Peeta in camicia di forza (il giovanotto dall’aria mite che fa coppia con Katniss ai giochi, palesemente innamorato della guerriera, i dettagli li risparmiamo ma sono scottanti e complicati). Questo film – quarto e ultimo - fa sbadigliare, a dispetto di un campo minato che non consente di avanzare di un passo verso Capitol City – l’obiettivo di Katniss e delle sue frecce è il crudele presidente Snow – senza che si materializzino pericoli di ogni sorta. I grattacieli crollano, arriva un mare di petrolio, ci sono telecamere di sorveglianza dappertutto, forse anche un nemico interno. Insomma: il momento della rivoluzione contro la tirannia. Tocca alla coraggiosa ragazza farsene carico, sempre seguita dai suoi registi Castore e Polluce: non dovrebbe combattere, solo fare finta, e galvanizzare chi sta combattendo davvero. Fa sbadigliare, come i paginoni – firmati dai maschi - che ormai spiegano quanto femminista sia Katniss (mentre sul coté rivoluzione la paragonano a Che Guevara). Peccato, proprio ora che femminista ha smesso di esserlo, e che noi ragazze abbiamo un altro modello da seguire: Amy in “Gone Girl - L’amore bugiardo” di David Fincher.

 

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