HUNGER GAMES – IL CANTO DELLA RIVOLTA 1

Mariarosa Mancuso

Così muore una rivoluzione”, dice il cinico Woody Harrelson. Katniss Everdeen, coraggiosa e letale con arco e frecce nell’arena dei Giochi della Fame – la gara di sopravvivenza organizzata a Panem per tenere sotto scacco i distretti risparmiando sul pane e abbondando con i circenses – non riesce a lanciare un proclama di rivolta davanti alla telecamera. Jennifer Lawrence, star internazionale grazie alla saga tratta dalla trilogia di Suzanne Collins, sfoggia qui la sua bravura mascherata da goffaggine: dice e ridice la battuta, la regista alza gli occhi al cielo, “non ce la faremo mai a infiammare gli animi”. Capitanati da Julianne Moore vestita da rivoluzionaria della Cina popolare – dettaglio che non fa ben sperare sulle magnifiche e progressive sorti del paese che verrà – i ribelli la riportano sul campo di battaglia: ella è troppo pura di cuore per fingere la rabbia e la vendetta, la tirerà fuori solo quando vedrà la casetta di famiglia rasa al suolo. “Sarai la ribelle meglio vestita della storia”, annuncia Effie Trinkett, che nei due capitoli precedenti di “Hunger Games” scortava i tributi del distretto 12, appunto Katniss e Peeta (il guardaroba fantasioso lo ha perduto per strada, non si sa come ha rimediato un foulard da mettersi in testa, intonato al grigio della divisa). Il giovanotto al momento si ritrova prigioniero dei cattivi di Capitol City, l’ultima missione non è andata secondo i piani, e viene usato come testimonial per gli spot controrivoluzionari. Katniss ha un brivido, forse lo ama ancora, non era soltanto una finta per conquistare il pubblico televisivo. Questa la situazione che si presenta allo spettatore nel penultimo capitolo della saga: in realtà, si tratta del romanzo numero tre brutalmente diviso in due parti, il brodo allungato quanto basta per diventare insipido. Il primo film, diretto da Gary Ross, era avvincente per via della sua eroina guerriera, una Diana cacciatrice che la sapeva lunga su come si conquista il pubblico dei reality show; il secondo teneva svegli nelle scene di cinismo televisivo, un po’ meno nel grigiume post-apocalittico. Qui la scena finale – dovrebbe stuzzicare la curiosità per i dodici mesi a venire, tanti ne passeranno prima della conclusione, nei cinema a novembre del 2015 – pare suggerita da uno sceneggiatore che incassato l’assegno aveva fretta di consegnare il compito.

 

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