PARTY GIRL

Mariarosa Mancuso

Un affare di famiglia. Dei tre registi, tutti usciti dalla più importante scuola di cinema francese – La Fémis, prima era nota con la sigla IDHEC e ha nell’albo dei laureati François Ozon, Alain Resnais, Arnauld Desplechin, André Téchiné – Samuel Theis è il figlio della protagonista Angélique Litzenburger.

Un affare di famiglia. Dei tre registi, tutti usciti dalla più importante scuola di cinema francese – La Fémis, prima era nota con la sigla IDHEC e ha nell’albo dei laureati François Ozon, Alain Resnais, Arnauld Desplechin, André Téchiné – Samuel Theis è il figlio della protagonista Angélique Litzenburger. Nel cast, oltre alla mamma che rifà se stessa raccontando la propria vita scombinata, troviamo i fratelli Mario (Theis), Severine (Litzenburger), Cynthia (ora Litzenburger, da bambina fu data in adozione), tre altri Litzenburger di contorno. La ripetizione e la complicanza dei cognomi rivela una parte della storia, l’altra è scritta sulla faccia e sul corpo di Angélique. Sessant’anni, lavora come entreneuse in un localetto tra la Francia e la Germania: qualche palo per ballare, clienti sempre più rari da intrattenere, sperando che ordinino da bere (la percentuale, tradizionalmente,  era calcolata sui tappi dello champagne, anche se qui se ne vede pochissimo). Era l’attrazione del night, lo ripete di continuo alle ragazze più giovani. La cinepresa la segue, mentre rincasa all’alba spettinata e barcollando sui tacchi (qui si capisce che i registi amano e imitano i film di John Cassavetes). Cinema-verità, ovvero “la vita come viene”. Con l’illusione dura a morire che le belle storie non ci sia bisogno di costruirle: semplicemente, accadono. Capita che Angélique sia corteggiata dall’ultimo cliente assiduo che le rimane, l’ex minatore Michel che ora vuol godersi la casetta e le propone il matrimonio. La matura ragazza ci pensa seriamente, convoca i figli e la figlia che fu data in adozione, discute con loro dei preparativi e di qualche faccenda più seria rimasta in sospeso (intanto lo spettatore pensa che sullo stesso tema ci si poteva divertire con “Mamma mia!”). A dispetto del titolo e della canzone che ascoltiamo sui titoli di coda, “Party Girl” indugia nella malinconia molto più di “Gloria”, il premiatissimo film del cileno Sebastian Lelio: un’altra sessantenne in giro per bar e discoteche con palle di specchi a cercare compagnia. Fosse capitato a Gloria un tipo a posto, né brutto né antipatico, come il corteggiatore di Angélique, non se lo sarebbe lasciato scappare. Tutto vero, senza tagli (le scene durano sempre troppo), senza orpelli. E dunque privo delle soddisfazioni che ci aspettiamo da un film.

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