MAICOL JECSON

Mariarosa Mancuso

Tante buone intenzioni. Poca voglia di lavorare. E quindi via con la voce fuori campo, che risparmia le fatiche della sceneggiatura.

Tante buone intenzioni. Poca voglia di lavorare. E quindi via con la voce fuori campo, che risparmia le fatiche della sceneggiatura. Sarebbe anche simpatica, la storia di Andrea e Tommaso. Il quindicenne vorrebbe approfittare del lettone lasciato libero dalla madre e dal suo nuovo compagno per concupire la ragazza dei suoi sogni. Il novenne che si crede figlio di Michael Jackson – siamo nel 2009, per scongiurare la necrofilia, il Peter Pan d’America gira ancora per concerti – si mette di mezzo: parcheggiato all’ospizio dei vecchietti dal fratellone (in mancanza di un’idea più sensata) torna a casa con un nonno posticcio. Su come sia esattamente avvenuta l’adozione, il film di Francesco Calabrese e Enrico Audenino non si sbilancia, già il buco nella trama basterebbe per irritare lo spettatore. Un indizio, almeno, sarebbe gradito: se no a cosa serve una sceneggiatura? Quel che la voce fuori campo spiattella dovrebbe finire nei dialoghi. Esistono, è vero, registi americani indipendenti che la sanno usare bene: ma bisogna studiarseli prima di scopiazzarli. “Maicol Jecson” va sempre in controtempo. I giovani attori riescono a buttar via anche le poche battute dignitosamente scritte – “Ma non è pericoloso lasciare tuo fratello all’ospizio?” / “No, al massimo si becca un pedofilo” – e per il resto veniamo freddamente messi a parte di quel che passa nelle loro teste. Gli attori meno giovani – il nonno Remo Girone e la vicina di casa pettegola Stefania Casini – sfruttano l’esperienza e il mestiere, con l’effetto di far scolorire ancora di più la recitazione dei ragazzini. Più astuta la scelta di ambientare il film in mezzo al nulla, così da suggerire “provincia americana”: i genitori mandano i figli a un non meglio precisato “summer camp”, una signora in rosa fa jogging passando e ripassando davanti alla villetta, c’è un concerto di Michael Jackson nei dintorni. Siamo nella sempre più desolata estate cinematografica italiana – a chiedere “posso vedere questo o quel film?” la risposta è “uscita tecnica, non sono previste anteprime”, come se le sale fossero chiuse al pubblico pagante. E siamo nel fai-da-te: un produttore intelligente, letto un copione che sembra una scaletta, avrebbe rimandato i registi a settembre.

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