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oltre le apparenze

Va bene Manuel Agnelli, ma la scena musicale italiana non è solo sterco

Stefano Pistolini

Tra strapotere dello streaming, prezzi esosi per i concerti e nessuno che rischia, per il frontman degli Afterhours non siamo mai caduti così in basso. Eppure – oltre al malessere – nelle pieghe della nostra musica c’è anche un sacco di vita, di voglia, di desideri e di idee

Grande il disordine sotto il cielo musicale dell’estate italiana. Di accendere le polveri s’è occupato Manuel Agnelli, presentando le sue ultime imprese, ovvero un tour dei riuniti Afterhours e la ripubblicazione-anniversario (vent’anni) di “Ballate per piccole iene”, manifesto della band, rivisitato alla luce delle nuove tecnologie di trattamento dei suoni. Il fatto è che nel frattempo Manuel ha modificato parecchio il suo personaggio pubblico, fino a incarnare un unicum dotato di prerogative profetiche, o comunque di un’effettiva saggezza nel leggere gli andamenti della nostra scena pop e delle sue mutazioni. All’origine di questo status c’è senza dubbio la sua partecipazione a sei edizioni di “X Factor”, il talent musicale che, nel bene e nel male, ha significato tanto nel segnare i sentieri del mainstream musicale italiano del XXI secolo. Agnelli ha avuto l’invidiabile capacità di calarsi nella parte di giudice e coach del progetto, al tempo stesso salvaguardando la propria voce critica, sebbene sia naturale tener conto dei compromessi ai quali è dovuto sottostare per mantenere un’accettabile adesione aziendalistica. 

 

                               

 

Adesso, però, ha mollato e si è auto-dimissionato dal ruolo, dicendo no – per sua ammissione – alla carriola di denari che Sky gli ha offerto per tenerlo in squadra, nella consapevolezza del ruolo carismatico da lui interpretato. Ora i suoi impegni guardano oltre, alla ritrovata voglia di lavorare con la band e al prosieguo della tournée teatrale di “Lazarus”, lo spettacolo di David Bowie di cui è interprete italiano. Per cui ha ringraziato del tanto che ha avuto in termini di visibilità ed economie, ma ha chiuso la porta e nel farlo ha deciso di lanciare una provocazione sulla quale è interessante ragionare, se non altro perché esula dal narcotico consenso che anima l’informazione riguardo alla scena musicale nostrana. Secondo Manuel le cose da noi, in termini musicali, stanno andando non male, ma malissimo. E le responsabilità vanno individuate, prima che nel fattore artistico, nel sistema di produzione vero e proprio. Non siamo mai caduti così in basso, dice Agnelli: lo strapotere dello streaming, i prezzi esosi dei biglietti per i concerti, la gestione dei giovani artisti mandati allo sbaraglio in situazioni sovradimensionate, salvo liquidarli con l’arrivo dei primi insuccessi: tutti sintomi di una scena malata, mal gestita, priva d’intelligenza e visione e straboccante d’avidità. L’espressione artistica secondo lui è ormai un accessorio superfluo: i team di produzione alle spalle dei nomi nuovi sono sempre gli stessi e producono le stesse cose, adottando criteri di ripetizione e saturazione, accodandosi agli algoritmi, spremendo gli stereotipi, cavalcando le tendenze social. Ritmicamente qualche artista si schianta, scompare, lascia perdere, o finisce sul lettino dello strizzacervelli, e intanto il pubblico diviene sempre più avvezzo a questo rituale dell’usa e getta con la cadenza della viralità e lo spessore dei meme. 

“Da vent’anni a questa parte la musica italiana è una merda”, ha concluso fatalisticamente Agnelli, spiegando che a questo punto lui scende, torna in studio di registrazione, si occupa del clubbino milanese dove fa esibire giovani band o della rassegna “Carne fresca”, nella quale offre un palco a chi ha difficoltà a trovarne. Un panorama desolante, quello che descrive, nel quale nessuno rischia, nessuno ricerca, nessuno investe. Rinunciare a “X Factor”, che di questo panorama è un meccanismo essenziale, per lui è stato perciò un esercizio di coerenza. E Sky fa subito sapere che, a fianco delle conferme di Paola Iezzi, Achille Lauro e Jake La Furia, il posto di Manuel verrà preso da Francesco Gabbani, veterano che non è certo un nome che fa sognare e difficilmente porterà nel programma qualcosa in più della sua esperienza di mestierante. Fine del messaggio da Agnelli, che si accommiata dicendo che lo “sterco” definisce le nostre attuali classifiche musicali, le case discografiche sono strutture pusillanimi e il pubblico un branco di rincoglioniti

Manuel ci piace, abbiamo ammirazione per lo stile furbo col quale si sfila da questi scenari, ma non siamo convinti che le cose stiano così o, almeno, che stiano solo così. C’è tanto malessere nelle pieghe della musica italiana del presente, ma c’è anche un sacco di vita, di voglia, di desideri e di idee. E queste idee faticano a fronteggiare e superare i presupposti della comunicazione e dell’omologazione che oggi governano i mercati e perfino la socialità. Ma quando si hanno sessant’anni si può pensare che le cose stiano merdosamente così: se ne hai venti, hai la rabbia, l’energia, il tempo e l’impeto per starci dentro, e trovare il tuo modo e la tua voce. Certo, le apparenze sono queste: una dozzina di producer che si spartisce la torta. Ma c’è molto altro, una miriade di situazioni, un underground formicolante, notti entusiasmanti quanto prima, figure e suoni nei quali perdersi. Il mondo che abbiamo allestito per quelli che preferiscono armarsi di chitarra piuttosto che di slogan, quello sì, fa orrore. La giovane Madame ha fatto eco alle parole di Agnelli sul neo materialismo della musica e sul sentirsi un semplice strumento di una macchina da soldi. Ha detto: “Meglio essere dimenticata perché assente, che essere scarsa”. Poi però va avanti e presto torneremo a sentir parlare di lei. Ci sono centinaia di Madame che vale la pena di ascoltare. Non smetteremo di farlo. E siamo certi che, dopo qualche sospiro, anche Manuel verrà con noi a dare un’occhiata alla misteriosa band di cui qualcuno ci ha detto cose favolose.  
 

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