il concerto domenica a cinecittà

“Oggi Beethoven sarebbe il producer delle pop star”. Parola di Christian Löffler, a Roma per Spring Attitude

"Frammenti di capolavori da estendere, aprire o portare in un'altra direzione". Il lavoro con Deutsche Grammophon per dare nuova vita ai compositori classici. E un nuovo disco in primavera, leggero e solare. Chiacchierata con il dj tedesco

Enrico Cicchetti

Nel 1971, per la colonna sonora di “Arancia Meccanica”, Wendy Carlos aveva già stravolto e dissacrato la musica classica con il suo synthetizer Moog. Risultato? Il mostro di Frankenstein si può fare: si possono rivisitare Beethoven o Rossini e dargli nuova vita, fargli assumere significati diversi. “Se Beethoven nascesse oggi probabilmente sarebbe una pop star come Justin Bieber. O meglio ancora un producer, uno che compone le tracce di artisti stra famosi. Vorrebbe raggiungere più persone possibili con la sua musica”. Parola di Christian Löffler, dj e producer tedesco di fama internazionale che con “Ludovico Van” ha stretto un rapporto speciale.

 

Sessant’anni dopo gli esperimenti pazzi di Carlos e Kubrick, la principale etichetta di musica classica al mondo, la Deutsche Grammophon – che da tempo ha deciso di “svecchiare” il suo catalogo (vedi i dischi di Moby, Jóhann Jóhannsson, Hania Rani...) – ha invitato Löffler a rielaborare brani di Beethoven e di altri leggendari compositori tedeschi come Wagner e Bach: il suo ultimo album, “Parallels” del 2020, invita una nuova generazione di appassionati di musica a scoprire il patrimonio della Deutsche Grammophon, lontano anni luce dal mondo dei rave berlinesi. “Mi è piaciuto portare il pubblico dei club alle sale da concerto e viceversa. L’etichetta mi ha mandato quasi cento brani: ne sono rimasto travolto, anche perché non ero un ascoltatore di musica classica, che va maneggiata con molto rispetto. L’ho ascoltata per giorni. Mi segnavo i passaggi e le parti che potevano connettersi al mio universo musicale, che potevo estendere, aprire o portare in un’altra direzione. Finché ho trovato una quindicina di brani con momenti che attiravano la mia attenzione: il suono di un flauto o un piccolo passaggio di violino. Mi sono di focalizzato su frammenti, non sul tema principale. Così quei capolavori sono diventati parte del mio lavoro”.  

  

   

Löffler, che cammina sul confine tra i ritmi delicati della musica ambient e il punch potente della deep house, domenica sarà a Roma per la dodicesima edizione di “Spring Attitude”: l’aria degli Studi di Cinecittà si farà rarefatta. Del resto, viste le piogge di maggio, l’autunno è la nuova primavera. E per festeggiarla non c’è niente di meglio che ascoltare i suoi ultimi due singoli, “Brave” e “Envy”: una boccata di aria e luce. “I miei primi album erano malinconici, ma dopo la pandemia voglio guardare al lato positivo delle cose”.

 

In “Envy” l’elettronica sognante di Löffler prende una direzione pop: la voce candida e istintiva di Mogli, cantante e compositrice di Francoforte, si intreccia ai ritmi e ai paesaggi sonori del producer. “Brave”, traccia perfetta per quest’ultimo scorcio d’estate, è energia e introspezione. Due assaggi del nuovo disco. Che sarebbe dovuto arrivare proprio in queste settimane, ma che “probabilmente uscirà in primavera”, ci dice lui. “A dicembre ci sarà un nuovo singolo. Sto continuando a creare e il percorso dell’album sta cambiando”. Sarà leggero e solare, garantisce. “In questo periodo in Germania fa parecchio caldo, e i suoni lo riflettono”. Climate change in musica. Löffler trae ispirazione dall’ambiente in cui è immerso: vive e lavora, sia come musicista sia come pittore (“La prima cosa è stata dipingere. La musica poi ha preso il sopravvento”), nella remota penisola di Darss, nel nord-est della Germania, e il suo atelier è una capanna di tronchi circondata dalla foresta sul Mar Baltico. Altroché lockdown.

 

“Non mi è mai piaciuto stare in mezzo alla folla”, ammette, “già da adolescente mi piaceva uscire a fare foto o video. Prendevo la macchina o la bici e fuggivo dalla città. Mi aiuta a chiarirmi le idee, a trovare ispirazione. Se viaggio raccolgo molte cose, ma solo quando torno le riesco a mettere a fuoco. Serve fermarsi un po’, serve annoiarsi anche. Sono quelli i momenti in cui vengono le idee. Spesso non posso lavorare finché non faccio una camminata nel bosco o in spiaggia. Poi corro fino a casa, mi faccio una doccia e solo allora torno in studio”. 

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  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti