(foto Ansa)

“Volevo Magia”. Ci mancano le band ma l'ultimo album dei Verdena cura un po' questa mancanza

Stefano Pistolini

Il nuovo disco della band bergamasca è un eccezione nel panorama musicale italiano: esigente, liberatorio. Quasi un manifesto di questa stagione sconnessa

Cioè, facciamo due conti: è forse vero che si sono praticamente estinti i gruppi rock/post-rock, insomma le band vecchio stile in Italia? Possibile? Ok, ci sono i Måneskin e i loro record, ma consideriamoli un caso a parte, un avatar, per certi versi iscrivibile all’iperrealtà. Poi? Tra i superstiti, in qualche modo attivi, ci vengono in mente i Baustelle e i Verdena, se vogliamo restare sui livelli di eccellenza, di qualcun altro le tracce si vanno facendo sempre più lievi, Afterhours, Marlene Kuntz, Perturbazione... Considerando anche la venerabile età media di queste formazioni, c’è poco da stare allegri. Comunque che i Verdena siano vivi e vegeti lo conferma adesso l’uscita di “Volevo Magia”, l’album che il trio bergamasco ha fatto sospirare ai fans per circa sette anni, nonché il settimo della loro discografia. Un lavoro ottimo, intenso, discretamente cerebrale, ma anche pieno di intimità e poesia. 

Sono intatti i Verdena, convinti come sempre della loro assoluta libertà, anzi della necessità di spaziare da un estremo all’altro dell’arco espressivo, alternando con baldanza le ballate acustiche a frenetici pezzi hardcore, con chitarre lancinanti, nervose distorsioni, testi istericamente gridati, variopinte chiazze poetiche che non sfuggiranno alla maniacale attenzione con cui i fans amano e seguono questo gruppo. Ce n’è ben donde, perché l’entità-Verdena ha tutti i fattori di talento e di emotività per farne un collettore di affetto e di transfert, con la loro proverbiale laconicità, i silenzi al di là della musica, quella nuda normalità ostentata, quel sistema circolatorio tutto interno al gruppo, praticamente inaccessibile. Allora un album come “Volevo Magia” lo si può adorare fino allo stordimento, se si ha l’età giusta e la condizione mentale ed esistenziale per connettersi con esso. E’ diretto, esigente, liberatorio, competente, privo di mediazioni, autosufficiente, pieno di dignità e sinceramente autonomo. Non è difficile immaginare chi lo amerà, chi si sentirà complice di un lavoro così, chi farà della sua filosofia il manifesto di una stagione – tanto più in questa sconnessa stagione. 

 

Ma è proprio in questo suo essere un fiore nel deserto, un capolavoro nel parcheggio vuoto di un centro commerciale, insomma un’eccezione, che “Volevo Magia” si pone non solo come un album da ascoltare, ma come un oggetto culturale su cui riflettere. Dove sono finiti i fratelli, cugini e amici? Dove restano acquattati gli altri buoni dischi delle band italiane? Perché sembrano esauriti? Cosa è venuto a mancare?  Eppure a leggere i resoconti delle scarne interviste rilasciate dai fratelli Ferrari e da Roberta Sammarelli si resta ancora stregati. E’ trasparente che i tre artisti, legati tra loro da un intrico parentale, rivelano proprio nell’essere “band” il segreto dell’autonomia, della compiutezza, perfino del perdurare dell’ispirazione, se non vogliamo ipotizzare un’improbabile eterna giovinezza. Ci avviciniamo al nocciolo della questione: cosa è svanito nel progressivo rarefarsi di progetti di gruppo come i Verdena, laddove il valore si congiunge a una potente descrizione musicale di un momento, di un pensiero, di un concetto condivisibile? Si è persa per strada l’attitudine da cui sgorgavano un’estetica e una rappresentazione, sotto forma non solo di canzoni ma anche di adesione? Non è questione di inutili rimpianti: si tratta di registrare un segno dei tempi e, verificata questa latitanza, d’individuare cosa sia subentrato al suo posto. 

Si direbbe che oggi chi cerca forme d’identificazione nella musica si rivolga a figure individuali, per qualche verso eroiche, capaci di consolazione e meritevoli d’imitazione. L’intima fratellanza all’origine del concept di band ha fatto il suo tempo, somiglia a un graffito della democrazia artistica. Ma sono solo tutti pensieri sparsi che affiorano ascoltando “Volevo Magia”, con le sue liriche sovente ermetiche (vi ricordate il buontempone che inventò il “generatore automatico di testi dei Verdena”? Genio…), con le sue deflagrazioni semi-rumoristiche, il dipanarsi di melodie dolcissime, la terra desolata tutto attorno. Domanda conclusiva: ci manca tutto questo? Sì, molto. Domanda suppletiva: il disco dei Verdena è un palliativo a questa mancanza? Piccolo, ma sì. 

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