Beatles redivivi

McCartney che duetta con Lennon in video è una sfida ingiusta al tempo

Stefano Pistolini

Al Festival di Glastonbury, il bassista dei Beatles ha duettato virtualmente con il cantante prematuramente scomparso sulle note di "I've Got a Feeling". Ma un lutto, un ricordo, un’elaborazione non possono essere ribaltati inscenando l’assurdo, certi giochi che adesso la tecnologia ci permette sono pericolosi

Paul McCartney ha preso in mano la situazione al Festival di Glastonbury, tornato gioiosamente a inaugurare la tradizionale stagione dei grandi raduni all’aperto d’Oltremanica, di cui avevamo scoperto di sentire la mancanza. L’ha fatto festeggiando così il suo ottantesimo compleanno e provocando una doppia agnizione diffusa:

1. Oddio uno dei due Beatles ancora vivi ha 80 anni.

2. Non solo ha 80 anni ma li festeggia sul palco suonando davanti a centinaia di migliaia di fan un set di 35 pezzi.

Ma questo è solo l’inizio, perché quando il re chiama i sudditi rispondono e Paul si è tolto il capriccio di ospitare nel suo show due personaggi adorati dai cultori del classic rock, ovvero un sempreverde Bruce Springsteen, che più passa il tempo più diventa una figura faulkneriana (insieme hanno suonato “Glory Days” del Boss e “I Wanna Be Your Man” dei Beatles). E poi l’eterno rocker Dave Grohl, leader dei Foo Fighters e superstite dei Nirvana, nella sua prima apparizione pubblica dopo la morte dell’amico e compagno Taylor Hawkins (hanno intonato “Band on the Run” dei Wings e “I Saw Her Standing There”, brano d’apertura del primo album dei Fab Four). 

  

   

Tutto molto bello, festoso e ovviamente ben fatto, e ci mancherebbe, dal momento che Paul da sempre ha voluto ai suoi ordini una band efficientissima, sebbene non sorprendente, e avere la ventura d’assistere a questi veloci rendez-vous è un innegabile piacere. Ma questo è solo il contorno del vero clou del concerto, diventato perfino il clou dell’intero festival, nonché scintilla per ragionamenti inattesi. Verso la fine della scaletta McCartney ha invitato a duettare con lui un’altra figura, questa davvero inattesa, eppure scontata, conseguente del contemporaneo in cui viviamo, degli strumenti che abbiamo tra le mani, delle nostre nuove modalità di consumare e di esserci – prima di tutto “vedendo”, quasi sempre dallo schermo di uno smartphone. “I’ve Got a Feeling”, tratta dall’album d’addio “Let It Be”, Paul l’ha cantata insieme a John Lennon. A metà del brano i megaschermi dietro e ai lati del Pyramid Stage si sono illuminati ed è apparso il profilo tagliente di John, con indosso la pelliccia, che attaccava il suo mantra “everybody had a good year / everybody had a hard time”. 

  

   

Le immagini sono quelle già viste del 30 gennaio ’69, terrazzo superiore della Apple Records di Londra, l’ultimo concerto dei Beatles, recentemente riportato a nuova vita da Peter Jackson per la serie tv “Get Back”. Ma la reazione generale, in platea o nella penombra del salotto di casa, è stata la stessa: sgomento. John ha 28 anni, l’aria stanca, canta con intensità e nervosismo, sentimenti della sua età e del suo tempo di guerra in Vietnam e di epilogo dell’avventura beatlesiana. Però il suo socio e compare di microfono Paul di anni ne ha appunto 80 appena compiuti, la sua guerra in corso è in Ucraina, il mood è di ironia, savoir faire e leggerezza. In mezzo tra le loro spalle, come in un sandwich, mentre dialogano sui versi della canzone che parla di “avere una sensazione”, ci siamo noi, tutto quello che è successo e che ci è successo, tutto quello che è successo alla musica e alle nostre aspettative. 

  

   
 

A quel punto la sensazione che abbiamo noi è che non sia giusto sfidare il tempo così distrattamente. Che certi giochi che adesso la tecnologia ci permette siano pericolosi. Che un lutto, un ricordo, un’elaborazione non possono essere ribaltati inscenando l’assurdo, le resurrezioni e i paragoni, spalancando le porte che proteggono certe rappresentazioni, del mondo e di noi stessi. Ovvio che tutto ciò che fa spettacolo non sia da tralasciare e che l’intimità dell’amicizia svincola ogni licenza. Ma John quella canzone l’ha cantata a suo tempo e in un tempo che era un altro. Pensiamo s’incavoli a vedersi sul palco di questo festival che non conosce, con attorno un bifolco del New Jersey e un batterista che adesso suona la chitarra. E restando di stucco guardando Paul, che quasi non lo riconosce, non fosse per la voce e il solito basso Hofner. Ridotto come suo nonno – altro che “When I’m Sixty-Four”. Che diavolo di nottata deve aver passato, per mettere su quella faccia.

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