Il musicista e direttore d’orchestra Peppe Vessicchio al Festival di Sanremo 2020 (Ansa)

dirige l'orchestra...

Non solo canzonette Metamorfosi del maestro Vessicchio

Francesco Palmieri

Sanremo e oltre. Ha composto musica per le stelle, ha trionfato alla Scala. A che gioco sta giocando? C’è un’anima occulta che si cela dietro la barba sorniona diventata trademark?

Dal palco di Sanremo a quello della Scala, dall’arrangiamento di una canzone alla composizione di un brano cameristico classico. Il maestro Peppe Vessicchio sembra avere ricevuto, dal cielo senza pioggia che ha arroventato questo giugno, più d’una ispirazione per stupirci. Perché se domenica 12 era alla Scala di Milano, martedì 21 si trovava a L’Aquila per celebrare i 70 anni dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e i 35 dei laboratori del Gran Sasso con un’altra composizione ben poco sanremese: “Per una sinfonia del cosmo”, eseguita in prima assoluta nell’Auditorium del parco progettato da Renzo Piano. Non le suggestioni del mercato discografico né la pura fantasia del maestro hanno ispirato l’opera, bensì un sofisticato rilevatore di raggi cosmici che con l’ausilio di un algoritmo ha tradotto i silenziosi moti delle stelle in un magma di note pronte per essere alloggiate ciascuna al posto suo sul pentagramma. Così ha fatto Vessicchio. Che due giorni dopo, ossia giovedì 23, è ripartito per Milano a dirigere il concerto per il centenario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (altro appuntamento fissato all’anno prima ma slittato a causa della pandemia). Neppure lì s’è presentato in versione sanremese: l’inconfondibile fisionomia salita sul podio è sempre la stessa. Ma il progetto per cui ha sentito pronunciare la rituale formula: “Dirige l’orchestra il maestro Peppe Vessicchio” s’intitolava addirittura “Armonie nel rispecchiarsi dei saperi”. (“per la quantità di elementi”, sottolinea, “che legano la musica alla fisica, alla matematica e alla biologia”).

     
A che gioco sta giocando il musicista napoletano? C’è un’anima occulta che si cela dietro la barba sorniona diventata trademark di un personaggio fra i più amati dal pubblico nazionalpopolare? O sono curiosi effetti a lungo termine del Covid, che mise a rischio la sua partecipazione all’ultimo Festival? E chissà che rapporto c’è, in questa fenomenologia dispari, con il Vessicchio sperimentatore agricolo, convinto che “la musica fa crescere i pomodori”, come recita il titolo dell’autobiografia scritta con Angelo Carotenuto e pubblicata nel 2017. O col Vessicchio che, “armonizzando” i vini con l’impiego di vibrazioni musicali, ha cominciato a produrre il Trebbiano d’Abruzzo “Sesto Armonico” devolvendo parte dei ricavi ai giovani artisti.

 

La vittoria a Sanremo con “Sentimento” degli Avion Travel. La fatidica frase di Mesolella: “Guagliu’, nun è cagnato niente!”

    
Per convincersi che si tratta sempre della stessa persona, anzi della persona che è sempre stata, bisogna risalire al Peppe dei primordi (detto Beppe da Roma in su). Quello ancora senza la barba, come neppure in casa pare l’abbiano mai visto. Il ragazzo con la chitarra che amava la bossa nova più dei successi del momento e al quale durante una festa i compagni del liceo scientifico combinarono uno scherzo: “Peppe, suonaci qualcosa”, implorarono. Ma appena attaccò un pezzo brasiliano, loro per sberleffo fecero partire a tutto volume il disco di una canzone in voga (lui non ricorda più nemmeno quale fosse). “Ebbi il segno – commentò nell’autobiografia – di quanto fossi fuori dal loro mondo, lontano da tutto, e non me ne importava. Mi interessava solo fare i conti con me stesso”. Ma se il “se stesso” è sfaccettato, i conti si complicano. Passano per una mancata laurea in Architettura auspicata dal padre, per l’appartenenza a un gruppo comico che avrebbe ottenuto grande successo negli anni Ottanta (i Trettré) e da cui uscì perché gl’interessava poco, per le prime collaborazioni con Peppino Gagliardi. Passano per la scrittura musicale di uno dei brani più struggenti di Gino Paoli (“Ti lascio una canzone”), per la vittoria come direttore d’orchestra di quattro Festival di Sanremo fra cui più di tutti gli è forse rimasta nel cuore quella del Duemila con “Sentimento” degli Avion Travel. Successo inaspettato, festeggiato fino all’alba dal gruppo e da Vessicchio, che poi decisero di montare sul furgone con gli strumenti e ripartire subito verso sud, ma il mezzo si fermò con la batteria scarica e tutti quanti, compreso il maestro ancora in smoking, dovettero scendere a spingere. Fu allora che il chitarrista Fausto Mesolella, buonanima, fissando gli altri uno per uno scandì la fatidica frase: “Guagliu’, nun è cagnato niente!”. (E’ questa, quando c’è, l’ironia che scampa i napoletani dall’inferno personale e li fa ascendere a un purgatorio collettivo di fiamme redimibili).

  
Nun è cagnato niente. Non è cambiato niente. Vessicchio, o il suo avatar, ha ampliato nei decenni le proprie feste comandate con l’aggiunta della settimana di Sanremo a Natale, Epifania, Pasqua e Ferragosto ma continuando a passare le ore sui trattati di armonia, a scomporre le partiture di Mozart per carpirne i prodigi, a inseguire le melodie di Mario Pasquale Costa, il musicista che lui avrebbe voluto essere se fosse vissuto tra Otto e Novecento. Lui o il suo avatar ha fatto l’insegnante dei talent show e poi s’è stufato, ha scherzato con Baglioni che gli spezzava la bacchetta sul palco dell’Ariston e intanto non vedeva l’ora di tornare in campagna dalla moglie Enrica, scrittrice e cuoca a cinque stelle, di fare il bisnonno, di tirar tardi la notte componendo al pianoforte, di adottare cani e gatti, di sprofondarsi nella lettura dell’antropologo Ernesto de Martino, di visitare sulle sue tracce la Puglia e la Lucania dove germinò la tradizione dei “viggianesi”, i famosi suonatori nomadi inventori di un particolare tipo d’arpa. E’ qui e così che nasce la composizione eseguita al Teatro La Scala.  

  
“Il preludio fu l’estate scorsa, durante la prima timida ripresa dalla pandemia. Dirigevo un concerto all’aperto del Festival ClassicAlBorgo nel paesino di Guardia Perticara in provincia di Potenza, dove presentai l’adattamento di arie di Mozart e Cimarosa più una mia composizione”, racconta il maestro. “Quella sera mi trovai in buona compagnia, con alcuni solisti della Scala che apprezzarono l’esecuzione e mi chiesero di creare un brano per loro. Pensai di ispirarmi agli studi di De Martino e ripresi dalla biblioteca ‘La terra del rimorso’, che conservo con affetto perché ogni volta quelle pagine ingiallite mi procurano particolare emozione. Ne è venuta fuori una musica dedicata al fenomeno del tarantismo, quella sorta di possessione dovuta secondo le credenze popolari al morso della tarantola. Perciò ho intitolato la composizione ‘Tarantina’, ma anche per rendere omaggio alla città di Taranto cui mi sento molto legato”, prosegue Vessicchio, “sia perché è la patria del mio amato Costa e prima ancora di Paisiello, sia perché da napoletano nato e cresciuto tra il rione Cavalleggeri e Bagnoli, in prossimità dell’Italsider e dell’Eternit, comprendo fino in fondo il dramma dei tarantini. So cosa vuol dire la presenza nefasta di un’industria che sembrò una donazione di benessere ma ha deturpato angoli di paradiso, rendendo l’aria satura di residui ferrosi e polveri di amianto”.

  

All’annuncio “fuori programma” del brano di Vessicchio, il pubblico scaligero rimane interdetto: “Alla fine mi hanno invitato a salire sul palco”

  
Il 12 giugno, quando al termine di una scaletta di autori francesi fra cui Debussy è stato annunciato come “fuori programma” il brano del maestro Vessicchio, il pubblico scaligero è rimasto interdetto: “C’è stato un timido applauso, quasi un applauso sospeso, ma alla fine dell’esecuzione la reazione è stata così calorosa che mi hanno invitato a salire sul palco”. Lì Vessicchio ha riprovato l’emozione di ogni suo esordio, quella che già gli occorse a Sanremo nel ’90 quando s’inchinò al pubblico prima di dirigere “La nevicata del ’56” di Mia Martini e “Tu… sì” di Mango: ha sentito pulsare le vene del collo. “So che questo passaggio dal pop alla classica sembra spiazzante, ma non voglio distinguere i due contesti. Quel che conta è riconoscermi nella musica che scrivo: anche se è un brano per strumenti elettrici devo precisare sulla carta ogni singola nota senza lasciare adito alle interpretazioni. Con me un chitarrista trova indicate anche le posizioni in cui deve formare gli accordi sulla tastiera. Il suono deve essere quello. Altrimenti preferisco il jazz, dove non so cosa accadrà però l’estemporaneità nasce per scelta, non per mancata capacità di definizione nella scrittura”.

 
Fatto sta che nove giorni dopo la Scala, al solstizio d’estate, il maestro se n’è andato a dirigere la “musica del cosmo”. Un’altra “prima volta”, non soltanto per lui ma per la singolarità di un esperimento che ha visto all’opera gli scienziati del Gran Sasso sollecitati da un’idea del musicista abruzzese Bruno Tatulli: catturare segni arcani dallo spazio e attraverso un algoritmo “lavorarli” come note per la partitura. “Sono suoni spesso lontani tra loro e imprevedibili, con sequenze dall’acuto al gravissimo che sfidano la nostra concezione dei collegamenti melodici”, spiega Vessicchio. “Bisogna prevedere un tessuto musicale capace di accogliere le ripetute dissonanze. Questo da appassionato di polifonia mi ha stimolato molto, anche perché rappresenta una metafora che la musica propone a tanti aspetti della vita: le dissonanze ti permettono di allargare le possibilità espressive, ma se non vengono integrate nell’ambiente della composizione restano un elemento conflittuale. Se si gestisse sulla base di questo criterio il fenomeno dell’immigrazione, per esempio, le cose andrebbero decisamente meglio”. 

  
La composizione “cosmica” è stata elaborata su un tracciato di raggi rilevati al Gran Sasso, non per caso all’equinozio di primavera. “Abbiamo fatto un rilievo anche il 21 giugno scorso e la mia intenzione è completare il lavoro con i tracciati dell’equinozio d’autunno e del solstizio d’inverno, per costruire una Sinfonia delle quattro stagioni. Spero che altri musicisti s’appassionino e partecipino al progetto”.

  

Chiara Ferragni? “Era inevitabile che il Festival si confrontasse con la forza del web e ne traesse un elemento identitario anche per la conduzione”

  
Intanto lunedì scorso, mentre il maestro provava per il concerto a L’Aquila, Amadeus annunciava l’arrivo di Chiara Ferragni al prossimo Festival di Sanremo, dove l’imprenditrice condurrà assieme a lui le serate di martedì 7 e sabato 11 febbraio, ossia l’inaugurazione e la chiusura della kermesse. Sarà una dissonanza che allarga le possibilità espressive o che rischia il conflitto? “Finora Amadeus ha tenuto conto dei giovani, però mantenendo elementi che garantivano continuità con il passato. Mi sembra che proseguirà su questa linea. Ed era inevitabile”, secondo Vessicchio, “che prima o poi il Festival si confrontasse con la forza del web e ne traesse un elemento identitario anche per la conduzione”.

  
E’ presto per sapere se il maestro sarà presente a Sanremo 2023 o se il pubblico dovrà nuovamente reclamarlo con gli hashtag su Twitter. Una cosa invece è certa in aggiunta all’articolata fenomenologia del personaggio, anche se finora non era stata annunciata: firmerà la colonna sonora del prossimo film di Bille August, il regista danese de “La casa degli spiriti”, che con “Pelle alla conquista del mondo” vinse l’Oscar per il miglior film straniero nel 1987. La pellicola è ispirata al romanzo di Erri De Luca “Tu, mio” del 1998, ambientato sull’isola d’Ischia negli anni Cinquanta. “Mentre leggevo la sceneggiatura mi nascevano i suoni che potevano accompagnarla. Quando ho incontrato August, lui ha condiviso tutte le mie idee”. Tra una cosa e l’altra il 20 luglio Vessicchio rimpatria a Napoli, con uno spettacolo in cui racconta Mozart, nei giardini di Palazzo Reale. “Mi affascina troppo l’idea che fosse un genio inconsapevole, uno che sa le cose senza sapere che le sa. In più quel suo soggiorno a Napoli ebbe risvolti molto divertenti, con il rigido padre Leopold sempre più scandalizzato dai napoletani, che accusava di blasfemia. Sapete perché? Perché pregavano Nostro Signore che intercedesse presso san Gennaro per ottenere qualche specifica grazia”. Spieghi lei, maestro Vessicchio, perché questa non sarebbe blasfemia: “Certo che non lo è. Piuttosto è pragmatismo: Iddio è impegnato in tutto il mondo con milioni di altri problemi, mentre san Gennaro è l’autorità locale, perciò nella burocrazia celeste bisogna convincere lui a mettersi all’opera sulle questioni napoletane. Il ragionamento non fa una piega. Leopold non poteva capire, ma Amadeus secondo me sì”.

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