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Ennio Morricone è unico e la sua musica (ma solo quella per il cinema) è geniale

Mario Leone

Da stasera a Roma i festeggiamenti per i 90 anni del maestro

Il 10 novembre Ennio Morricone compirà novant’anni. Roma, la sua Roma, aprirà questa sera i festeggiamenti all’Auditorium Parco della Musica con un concerto a lui dedicato. Il programma prevede l’esecuzione delle sue musiche più famose, alcune dirette proprio dal Maestro e da altri illustri colleghi (il premio Oscar Nicola Piovani, Carlo Rizzari) intervenuti per l’occasione. Una festa in grande stile per un’icona italiana nel mondo. Su Morricone si è ormai detto e scritto tutto. Questi novant’anni sollecitano però una riflessione più ampia.

 

Cresciuto alla scuola di Goffredo Petrassi, dal quale – ricorda – “ho imparato la musica assoluta”, Morricone è sempre stato diviso tra questa musica (fatta di sperimentazione e rottura con il passato) e quella per il cinema. Una frattura drammaticamente vissuta e rinfocata dal giudizio dello stesso Petrassi. Lo racconta Morricone in un’intervista del 2016 a Miriam Bendìa: “Ho scritto musica per il cinema (per pagare le bollette) e musica assoluta. Io ho avuto la sofferenza di tradire un po’ la musica assoluta, quella che mi aveva insegnato il mio maestro”. Petrassi infatti rimproverava al suo alunno di perdere tempo con la composizione per il cinema. “Sono certo che ritroverai il tempo perduto”, tuonava il maestro. Morricone si sforza di recuperarlo: “Un po’ di tempo l’ho recuperato poiché per fare un film ci mettevo un mese o anche due settimane, per scrivere, qualche volta una settimana… Ma per la musica assoluta impiegavo molto più tempo, anche sei mesi a opera”. Una vera e propria confessione. La musica per il cinema, semplice da scrivere, dava e dà il pane, quella assoluta (che rappresenta la vera arte, la ricerca, il pensiero e che richiede più tempo e fatica), non dà il pane.

 

In questo giudizio, assolutamente legittimo, si cela un problema culturale molto più radicato che non riguarda solo Morricone ma tutto un modo di pensare e vivere la composizione. Dalla seconda metà del secolo scorso per essere eseguiti, rispettati, considerati “veri musicisti” bisognava essere iscritti al “partito dell’avanguardia” che non si capisce ancora quante vittime abbia fatto e continui a fare: schiere di allievi di certi individui che hanno contaminato con brutture inascoltabili generazioni intere di sedicenti compositori che magari con una maggiore libertà di espressione avrebbero in qualche caso dimostrato un vero talento e prodotto musica nuova e di valore.

 

Il critico musicale Sandro Cappelletto, all’epoca del secondo Oscar a Morricone, commentava sulle colonne della Stampa che quel riconoscimento avrebbe segnato il superamento di questa divisione nell’anima del Maestro. Non sappiamo quanto questo superamento si sia avverato. Fatto sta che il grande pubblico ricorda e osanna (giustamente) Morricone per quella musica da film che egli stesso definisce “serva delle immagini”. Ad altri invece (in verità pochissimi) piace la sua musica “vera” (sono sempre sue parole): sono quelli invecchiati male, passionari della mummificata avanguardia. Lavori che in realtà non sono spericolatamente sperimentali e quindi nemmeno provocatori. Rappresentano solo una fase di quel Novecento musicale ormai in fase avanzata di smantellamento.

 

Ma allora chi è il Morricone compositore? In molti hanno azzardato paragoni. Quentin Tarantino lo ha paragonato per genio e talento a Mozart (confronto che da solo chiarisce quanto il regista ne capisca poco di musica). Altri, timidamente, nominano Nino Rota, il compositore amato da Fellini, autore di musiche per film quali “La strada”, “Otto e mezzo”, “Le notti di Cabiria”. In verità Ennio Morricone e Nino Rota, pur ugualmente importanti per la storia del cinema, in senso strettamente musicale non sono paragonabili. La musica di Rota, anche quella per il cinema, è musica costruita con strutture solide e un senso della forma sempre nitido e di alto profilo. Morricone invece ottiene splendidi risultati con una musica molto spesso di grande impatto emotivo per la bellezza ed efficacia dei motivi tematici, delle soluzioni strumentali, degli effetti suggestivi propri delle invenzioni timbriche, ma quasi sempre – quasi – non ci sono sviluppi delle invenzioni tematiche e, fuori dall’uso cinematografico, alcune cose, anche tra le migliori sullo schermo, in concerto non reggono. Questo è segno di una natura assoggettata e determinata dall’uso finale mentre quella di Rota, come del resto quella di John Williams, è musica che ha sue strutture anche autonome perché complanari e non assoggettate passivamente alla funzione di commento. Il problema sta nel fatto che per Rota la musica aveva sempre lo stesso linguaggio, al di là della destinazione finale (non esistevano divisioni, livelli) e della forma scelta, mentre per Morricone quella per il cinema è finalizzata e non frutto della sua volontà individuale. Ennio Morricone è unico. La sua musica è ispirata, in alcune pagine è geniale. Ma solo quella per il cinema. Auguri!

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