Ansa

Il foglio della moda

Perché la parità è strategica per lo stile italiano

Il settore moda italiano impiega prevalentemente donne, ma poche raggiungono ruoli apicali, soprattutto nei grandi marchi. Le Pmi artigiane mostrano segnali positivi, ma servono politiche concrete per valorizzare il lavoro femminile e rilanciare la filiera

È ormai noto che il settore del tessile e dell'abbigliamento in Italia impieghi più donne che uomini. Le donne rappresentano infatti il sessanta per cento delle risorse, con un divario di oltre trenta punti percentuali rispetto a settori come il manifatturiero. I dati dell'occupazione in termini assoluti, però, non sono sufficienti per sancire che le donne "pesino" più degli uomini nel settore, considerando che i dati, purtroppo, non sono confortati da pari opportunità nell’avanzamento della carriera professionale. Resta inteso che le posizioni apicali si raggiungono, o si dovrebbero raggiungere, in base al merito e non al genere, eppure è evidente che il percorso delle donne ai vertici della moda rimanga ancora più tortuoso rispetto a quello dei colleghi uomini. Un vero paradosso se si considera che sono state tantissime le donne che nel tempo hanno immaginato e rivoluzionato la moda, spesso con innegabile lungimiranza. È storia che le donne siano sempre state le principali protagoniste del settore, e sarebbe corretto vederle più presenti anche tra le fila di chi la moda la stravolge e, banalmente, la crea. Le analisi del Barometro Donne e Moda 2025, sviluppato dall'ufficio Studi di PwC Italia in collaborazione con Il “Foglio della Moda”, confermano che, allo stato attuale, meno di un ruolo apicale su tre è occupato da una donna. Una riflessione approfondita la merita il fatto che, per i CdA dei grandi marchi associati a Camera Nazionale della Moda, si conti soltanto una sola donna ogni tre uomini.

Esistono importanti segnali di cambiamento, soprattutto grazie alle PMI artigiane che, in controtendenza rispetto ai grandi marchi del lusso, vanno in un'altra direzione. Nelle piccole realtà imprenditoriali, infatti, quasi tre amministratori delegati su quattro sono donne e le donne che ricoprono posizioni apicali hanno in media tre anni in meno rispetto ai colleghi uomini negli stessi ruoli. Alla guida delle aziende, le donne si dimostrano anche più sensibili verso i temi sociali e ambientali e più propense a lavorare alla costruzione di un futuro sostenibile, adottando una visione imprenditoriale che coniuga attenzione al capitale umano e crescita economica sul lungo periodo. Le piccole realtà artigianali della moda, spesso a conduzione familiare, si rivelano più all’avanguardia dei grandi brand in tema di parità di genere. La metà delle Pmi ha un CdA a prevalenza femminile e 9 su 10 hanno almeno il cinquanta per cento di donne in organico. Tuttavia, emergono ancora criticità: più della metà delle imprese non ha strumenti di welfare a sostegno della genitorialità, e la maternità è considerata un ostacolo all’avanzamento di carriera da quasi un’azienda su quattro. Se approcciato in modo sistemico nella governance aziendale, l’approccio femminile, più giovane e orientato alla resilienza economica e sociale dell’impresa, può apportare un valore strategico per il rilancio dell’intera filiera e dei distretti manifatturieri che rappresentano un’eccellenza del nostro Paese, trovando espressione in azioni di trasformazione industriale e culturale. 

Alla luce dei dati emersi, risulta evidente l’urgenza di agire con misure concrete e incentivi che accelerino la competitività delle imprese e ne tutelino, di conseguenza, il capitale umano. Farlo significherebbe mettere il lavoro femminile al centro dell’agenda politica ed economica del Paese, generando un effetto domino positivo che si concretizzerebbe nella preservazione delle filiere, risorse per welfare e formazione, occupazione qualificata e valorizzazione delle competenze femminili, anche in ambito tecnico e Stem. Serve un cambio di paradigma: inserire la moda tra i settori strategici nazinali, rilanciare i distretti dopo un periodo di crisi per unire politiche industriali e sociali, rafforzare formazione e infrastrutture, e promuovere una governance che tenga conto delle esigenze reali di chi opera quotidianamente nella filiera del Made in Italy. Serve fare sistema, e chi meglio delle donne, che nella moda hanno sempre avuto un ruolo fondamentale ma non la voce per esprimersi ai vertici, può guidare questo cambiamento? La moda, con la sua forza economica e simbolica, può e deve diventare il laboratorio della nuova economia italiana: più inclusiva, sostenibile, equa e con una visione a medio e lungo termine.

*partner PwC Italia &EMEA Fashion&Luxury

Di più su questi argomenti: