alta moda

La couture sta nei dettagli? Eccoli, in una selezione speciale

Terminata fra un bel po' di polemiche e parecchia tensione sociale la settimana della couture a Parigi, in scena eccola da rivedere per immagini e incontri molto ravvicinati. Con qualche juicy backstage, ovvero retroscena succoso anche dalla Puglia

Fabiana Giacomotti

“Guarda i dettagli”, “osserva la maestria delle cuciture” “e la precisione dei ricami” “e la delicata grazia del taglio”. Guarda tutte queste cose, ti dicono quando fai parte di quel manipolo di fortunati che magari non potrà permettersi abiti dai trentamila euro in su (anche parecchio su, mai come in questo caso la locuzione inglese “the sky is the limit” trova la propria ragion d’essere), ma che gode se non altro del privilegio di poterli ammirare da vicino. Visto che una larghissima parte del mondo deve invece contentarsi di osservarli sui social, o riprodotti alla meno peggio sui quotidiani, o anche bene sui periodici ma insomma sempre secondo le logiche e le scelte dei fotografi, dell’art director, dell’editor, abbiamo deciso di tentare il superamento di questo limite (sempre parziale, si intende, la scelta rimane nostra), dei dettagli di cui avete letto in questi giorni ma che vi è stato impossibile notare per via delle foto prese da lontano. Il lutto non si addice a Elettra, il grande spettacolo non si addice alla couture, che funziona benissimo vista in atelier seduti anche scomodamente sulle poltroncine addossate al muro, come ha dimostrato Balenciaga deliziando però il pubblico con una strepitosa versione della arie di Maria Callas cantate a cappella grazie a una sofisticatissima operazione di cancellazione delle parti strumentali (non vogliamo neanche sapere che cosa abbia detto Warner che della voce della divina Maria possiede i diritti, ma supponiamo che sia stata avvertita).

Seduti sulle gradinate, anche noi che saremmo i fortunati eccetera ci siamo persi la bellezza del collier di spinelli rosa disegnato da Delfina Delettrez Fendi, qualche decennio per collezionarli e trasformarli in un gioiello, dalla quale originava la collezione di Kim Jones per Fendi: un po’ perché eravamo concentrati sull’abito bustier in breitschwanz e sulle altre pellicce, esposte con una certa nonchalance di fronte a un pubblico in buona parte orientale che agli animalisti occidentali evidentemente non è interessato, un po’ perché ci domandavamo da quando il jersey fosse considerato un tessuto adatto alla couture, e insomma ci siamo purtroppo molto distratti. In via generale, e includiamo in queste considerazioni anche la sfilata celebrativa di Victor&Rolf che ha condensato trent’anni di carriera in una serie di costumi da bagno con i suoi temi best of, dimostrando senza ombra di dubbio che la loro principale fonte di introiti continui a essere il profumo “Flower Bomb”, ci è parso di capire tre cose. La prima: non è detto che gli influencer, che postano innanzitutto se stessi e l’evento, siano particolarmente utili per far conoscere maison talvolta venerande genere Schiaparelli che da mezzo secolo non producono profumi, e nemmeno rossetti, ma solamente gioielli e abiti che, anche nella declinazione del pret-à-porter, ben pochi possono permettersi o ritengono interessanti, proprio per via del portato storico e dell’impegno intellettuale che richiedono per essere compresi, quando invece una sneaker e un borsone col logo sono tanto più semplici per farsi notare (da cui ci sentiremmo di dare ragione ai Dolce&Gabbana, fra i primi a sposare la causa dei social, quando dicono che hanno decurtato il numero degli influencer ai loro eventi). La seconda: fa tenerezza vedere come i designer applichino tutto il loro amore, la loro sapienza, la loro etica e la consapevolezza del ruolo che la moda può avere nell’evoluzione della società quando poi le loro testimonial, vedi Rihanna, riducono il messaggio alla brutale sintesi di un “it’s Valentino baby, it’s expensive” lanciato agli intervistatori sulle scale del Met come gli arricchiti delle canzoni di Renato Carosone, che vogliono “chello ca costa ‘e cchiù”.

Poi, certamente, è stato abilissimo l’ufficio comunicazione di Valentino a trasformare la stonatura in un tormentone social e a stemperare tutto in un sorriso, così come è stato garbato quello di Schiaparelli a sorvolare su Cardi B che esponeva le forme molto generose ai fotografi in un abito che avrebbe richiesto un minimo di rispetto almeno per le sarte che gli hanno dedicato centinaia di ore in tagli, modelleria e ricami: di certo, non è chiaro quanto la prevalenza del cafone e dell’incolto aiuti davvero la causa dell’abilità artigiana d’eccellenza. Non è un caso che anche nomi più defilati ma di grande successo come Antonio Grimaldi organizzino piccole presentazioni per chi sa e vuole scegliere, e un breve filmato per chi vuole avvicinarsi alla loro estetica. L’eccellenza, soprattutto in casi come quello di Dior, di totale raffinatezza ma assoluto rigore, va spiegata, condivisa e raccontata esattamente come vanno spiegate le istanze a favore dell’inclusione sociale e di genere. C’è chi fa dell’assoluta maestria nel ricamo visibile e di impatto e nel taglio donante il proprio marchio, che è il caso di Giorgio Armani, e chi fa invece della negazione del dettaglio visibile il proprio: come sessant’anni fa, all’epoca di Danilo Donati e di Piero Tosi, due modi diversi di intendere non solo il costume, ma la vita. Nella couture, questo significa comunque che bisogna rendere partecipe e coinvolto dell’importanza del lavoro manuale e del valore di chi lo svolge chi pensa che la discriminante unica sia il prezzo, che è poi quanto lamentano le guide capitoline sulla (im) preparazione dei troppi turisti americani convinti che gli “antichi romani” siano nascosti in qualche sotterraneo del Colosseo e soprattutto perché non lo restauriamo, forse non abbiamo i soldi per farlo? E che è anche un po’ quello che fanno tutti i concorsi di moda nati e sviluppati in Italia e in Francia negli ultimi trent’anni (note di encomio per il vincitore assoluto della XXXIII edizione del premio CNA Federmoda, Giovanni Moroni, molto spiritoso sia nel progetto sia nel tratto, che esce invece da un’università d’eccellenza come il Politecnico). Ultima nota sulla tre giorni di festeggiamenti di Dolce&Gabbana in Puglia, di cui uno concentrato su Borgo Egnazia insieme con tutti gli ospiti. Da qualche anno, la bottega di artigianato del borgo propone abiti e accessori ricavati da vecchi corredi: le due ideatrici, Veronica e Federica, una delle quali con lunga esperienza nel gruppo Aeffe, hanno battezzato con molta ironia la linea Canfora. Sanno che avrà vita ed evoluzione limitate, essendo un progetto di upcycling e non di alta moda, e che insomma si trovano ancora nelle case di campagna e nei mercatini a buon prezzo. Incredibilmente, del recupero di vecchi corredi pugliesi i Dolce&Gabbana hanno fatto “il fulcro”, citiamo il Corriere della Sera, della loro collezione di alta moda proprio in queste ore. Da cui ci viene il dubbio che abbia ragione Rihanna.

Di più su questi argomenti: