La sfilata di Chanel a Parigi durante la fashion week di ottobre, nel 2020 (Getty Images) 

Il foglio della moda

Il boom delle collezioni crociera che non abbiamo neanche il tempo di fare

Antonio Mancinelli

I ritmi commerciali spingono le case di moda a creare nuovi vestiti anche nei momenti in cui non sembra esserci bisogno. E si aprono negozi in luoghi nuovi e vacanzieri

Prima che la moda estiva diventasse esattamente ciò che è oggi – la sciatteria totale ma con un buon ufficio stampa - le cose erano messe, letteralmente, in modo diverso. Ora che il caldo è un lasciapassare per l’orrore vestimentario, scompaiono reggiseni e senso della misura, riappaiono in tutta la loro tonitruante presenza short sfrangiati, canotte sbrindellate, Crocs di plastica tossica accompagnate a una sinfonia di capi che finiscono in “ini”. Magliettine, gonnelline, borsettine, gioiellini, reggisenini straripanti di ghiandole o silicone in un tono fluo che, assicuriamo, abbiamo sentito definire “verde Covid”. Non per fare i nostalgici, ma leggete qui.

 

Leonardo «E perché per oggi non si può partire?». Vittoria «Perché il sarto non ha terminato ancora il mio mariage». L. «Che diavolo è questo mariage?». V. «È un vestito all’ultima moda». L. «Se non è finito, be’ lo potrà mandare in campagna». V. «No di certo. Voglio che me lo provi, e lo voglio credere finito». L. «Ma la partenza non si può differire, Siamo in concerto d’andar oggi insieme col signor Filippo, e colla signora Giacinta, e si ha detto di partir oggi». V. «Tanto peggio. So che la signora Giacinta è di buon gusto, e non voglio venire col pericolo di scomparire in faccia di lei». L. «Degli abiti ne avete in abbondanza, potete comparire al par di chi sia. V. «Io non ho che delle anticaglie». 

 

E' il 1761, e ne “Le smanie per la villeggiatura” di Carlo Goldoni già si sta avvolgendo la mortifera spirale iniziata nel XVI e soprattutto nel XVIII secolo, assunta dal lusso per chi accetta la sua logica e i mutamenti della moda diventati vorticosamente rapidi, dopo che era stata caratterizzata all’epoca medievale da cambiamenti su lunghissimo periodo. Meno di trent’anni dopo e l’aristocrazia con i suoi costosissimi e delicati cerimoniali avrebbe abbandonato un abbigliamento da vacanza che era sostanzialmente uguale per forma a quello invernale, in più leggeri e obbligando a infilare nelle occasioni ufficiali le mitaines, i guanti a mezze dita.

 

Solo un accessorio era fondamentale per le dame alla reggia di Versailles: il ventaglio. L'ambiente licenzioso della corte di Versailles aveva reso necessario lo sviluppo di un linguaggio di seduzione fatto di gesti e occhiate più che di parole. Dopo la rivoluzione, spinti a differenziarsi dai membri delle arricchite famiglie borghesi, che li imitano nei costumi, negli usi, nell’abbigliamento, i membri del patriziato si lanciano a capofitto all’interno della logica e dei modelli culturali che sottendono al fenomeno della moda. Così il concetto di sospensione dal lavoro, moda autoriale e turismo vanno di pari passo con l’invenzione delle vacanze. In effetti è ancora un po’ così. Viaggiare non “necessitati”, come devono fare i profughi, ma per diletto o per ragioni culturali, conferisce prestigio. Distingue. «Sei sposato o vivi in Kenya?», sembra che si chiedessero fra loro gli aristocratici londinesi negli anni Trenta del Novecento, prigionieri dei propri obblighi sociali a casa, ma anche delle proprie ossessioni di evasione da sé stessi in vacanza.

 

Il bel saggio di Alessandro Martini e Maurizio Francesconi ”La moda della vacanza” (Einaudi) illustra le relazioni tra l’Orient Express e i passeggeri con passaporto diplomatico, il Lido di Venezia, le architetture coloniali e Montecarlo con gli abiti dei più grandi couturier, il maharaja di Indore Yashwant Rao Holkar II ritratto da Man Ray (i nipoti sono banchieri, il figlio ha recuperato gli antichi telai d’impresa della leggendaria trisavola Ahila, che reggeva il principato da sola quando in Europa Luigi XIV si circondava giusto di favorite), il lungomare di Brighton, le acque di Vichy, i musicisti e gli scrittori, le teste coronate e la café society. E, ancora, il Train Bleu che corre verso la Costa Azzurra, il Bund di Shanghai, il fumoir del transatlantico Normandie con i pannelli in lacca dorata di Jean Dunand, il Raffles Hotel di Singapore, la marinière di Coco Chanel.

 

Malgrado il Codacons ci faccia sapere che quelle del 2022 saranno le vacanze più care di sempre, con quasi metà del paese spaventato più dall’inflazione che da Covid e guerra ma senza perdersi l’assembramento in spiaggia, le ustioni solari, il reggaeton sparato a tutto volume, tirano sospiro di sollievo anche le boutique. Son tornati gli stranieri, assenti giustificati russi, cinesi e si sono molto moltiplicate i pop up store che hanno culturalmente decolonizzato i negozi antichi di meravigliose cittadine città storiche per imporre i loro prodotti omologanti e omologanti: Fendi sbarca a Mykonos, Dior stabilisce il suo domicilio marittimo a Portofino, Loewe con la collezione Paula’s Ibiza approda in cinque località nostrane, Louis Vuitton riapre il pop-up store di Como a Villa D’Este, Bottega Veneta inaugura sette aperture temporanee tra Capri, Portofino, Forte dei Marmi, mentre sia l’artigiano locale, che faceva quei gioielli e i sandaletti su misura, sia come la panetteria profumata di focaccia e bomboloni, sono sfrattate a suon di denari. Gli utilizzatori finali sono coccolati, tentati, costantemente geolocalizzati per vendere loro desideri in forma di oggetti che non sapevano di voler desiderare, e poco importa se in quell’espressione identitaria che è il vestirsi conosca il rischio di clonazione sia alto (spoiler: no. Si vendono soprattutto flip-flop, teli da mare, bijoux, foulard, parei, cosmetici, occhiali da sole).

 

Si vendono pochi abiti perché la politica dei prezzi sta raggiungendo vette da capogiro? A questo servono le collezioni Resort e Pre-Fall, processioni di abiti che si snodano in posti meravigliosi (Dior a Siviglia, Max Mara a Lisbona, Gucci a Castel Del Monte, Chanel a Montecarlo, Louis Vuitton a La Jolla, in California). E qui iniziano i problemi: cosa differenzia una cruise Resort, o Cruise, o Pre-Spring rispetto alla Pre-Fall? Diciamo che è tutto quello che vedete nelle vetrine tra la primavera-estate e l’autunno-inverno, ma in un quadro modo più tranquillo, diciamo pure mainstream. Il cambio di stile passa spesso attraverso collezioni a tema più ampie, innovative ma anche altamente indossabili. La Resort è una pre-collezione che viene presentata dopo che la collezione autunno-inverno è stata messa in vendita ma prima che quella primavera-estate sia disponibile. La collezione Pre Fall è anche questa una pre-collezione ed è disponibile nei negozi verso maggio: occasione per fare qualche soldo in più e farsi un po’ notare in un mondo globalizzato in cui le mezze stagioni non ci sono più e le collezioni invernali.

 

Da un punto di vista commerciale, la Pre-Fall soddisfa la domanda del cambio di stagione, ossia il momento in cui la collezione in arrivo (in questo caso autunno-inverno) non è ancora in vendita, mentre quella precedente, disponibile da febbraio, è in svendita. Una persona senziente chiederebbe: E allora perché ci sono i cappotti nelle Resort? Perché non ha senso commerciale limitare una Resort ai cliché estivi. Così, i brand si sono assicurati che l'offerta potesse soddisfare il desiderio collettivo di uno stile stagionale, in particolare della generazione globalizzata di ricchi e giovani che viaggia(va)no per tutto il tempo, oltre che dare una risposta ai cambiamenti climatici. Inoltre, i grandi brand hanno clienti in tutto il mondo e le loro entrate più grandi arrivano dai mercati asiatici, arabi e dell’Est, dove i consumatori hanno bisogno di vestiti per temperature diverse rispetto a quelli dei mercati occidentali.

 

Così, è da questo genere di sfilate – non a caso incorniciate da luoghi fantastici che ne impediscono la banalizzazione – che si ricavano davvero i soldi: i prezzi sono più bassi del 30 per cento delle linee relative alle stagioni principali; nessuna ricchissima si veste sempre da red carpet: e la Resort rimane in vendita più a lungo prima di essere messa in saldo. Bruno Pavlovsky, da vent’anni presidente di Chanel e da un mese della Fédération de la Haute Couture et de la Mode (FHCM) al posto di Ralph Toledano, già anni fa confidava al quotidiano WWD che “la Resort rappresenta la consegna più grande e importante di Chanel dell'anno”. Ma non potrebbe essere tutto più semplice?

 

Potrebbe, ma non è e non lo sarà. Invece di aumentare il numero di collezioni all'anno, i marchi dovrebbero suddividere le loro offerte "principali", in questo modo sia i negozi sia i consumatori otterrebbero quattro tranche di prodotti nuovi. In date differenti. Ovviamente, non succederà. Lo stress di dover far uscire un numero infinito di collezioni è motivo più grande per cui un numero record di designer sta lasciando le posizioni più prestigiose nelle case di moda di cui resort e pre-fall rappresentano quelli che negli anni Ottanta e Novanta erano i capi delle seconde linee, povere di tutto, idee e bei tessuti compresi. Che fatica. Il sogno della finanza di moda è un creativo che rilasci prodotti tutto l’anno, con emivita brevissima, che significa un flusso di cassa costante e ininterrotto grazie a un’offerta sempre rinnovata. Qualcuno ha detto “sostenibilità”?

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