il foglio della moda
Sentirsi buoni è un lusso. Ecco come comunicano i brand della moda
Chi alimenta la rabbia trova scarso successo nelle conversazioni social sui brand della moda. Si vince con le emozioni positive. E anche appoggiandosi ai media tradizionali. Ecco la nuova ricerca sulla reputazione online di Comin&Partners e KPI6, sviluppata in partnership col Foglio della moda
Tanta attenzione ai contenuti, tanta maniacale devozione agli hashtag (“ma hai verificato l’hashtag?”), poi basta che l’allenatore della Roma José Mourinho posti il video in cui regala un paio di sneaker a Felix Afena Gyan (“forever grateful sir, I’ll make you proud”, che cosa non si direbbe per un paio di Speed in maglia numero 46), ed ecco che il brand Balenciaga schizza ai vertici della visibilità online. D’accordo, non basta essere “discussi” o diventare trend topic per una giornata per costruirsi una reputazione online; però, di certo, per un brand che tanta gente fa ancora fatica perfino a pronunciare (online c’è comunque un corso di pronuncia per disperati del branding di lusso: “you say balensiaga”), farsi riprendere in un video di unboxing con l’allenatore più famoso del mondo è già un buon passo sulla strada della popolarità di massa, sempre sia quella che si cerca.
Quando si tratta di valutare però la qualità dei contenuti e il livello della reputazione, le cose cambiano, come dimostra la seconda edizione del report sul posizionamento dei brand del lusso in termini di notorietà e di valutazione sui social, realizzata da Comin & Partners e KPI6, software che consente alle aziende di svolgere ricerche rapide e profonde su opinioni, trend, consumatori in tempo reale, in collaborazione con “Il Foglio della Moda”. Dopo il successo della prima edizione, diffusa nel novembre del 2021 e accolta con molta curiosità e attenzione, questa nuova analisi ne aggiorna i risultati, esaminando le conversazioni in rete in italiano che menzionano i principali marchi del settore della moda in Italia da ottobre 2021 a marzo 2022. Le menzioni prese in analisi sono state oltre 25mila e sono state prodotte da 15mila utenti unici in lingua italiana in Italia. Lo studio guidato da Gianluca Comin e Gianluca Giansante ha incluso un’analisi quantitativa e qualitativa dei contenuti, una classifica delle maison con la reputazione migliore e una panoramica delle principali tematiche rilevate nelle conversazioni riguardo il settore del lusso. Tema particolarmente sensibile per capire come si stiano orientando gli interessi dei frequentatori dei social, cioè di tutti noi.
Tre le macro-tendenze emerse: la qualità delle menzioni, l’importanza delle emozioni positive, di cui l’inclusione e la sostenibilità sono le prime (il Diversity Brand Index 2022 evidenzia una differenza potenziale del +23 per cento tra la crescita dei ricavi delle aziende percepite come più inclusive rispetto a quelle meno inclusive), e l’utilità dell’appoggio al mondo “phygital” in cui di muove la moda, enfatizzato dall’uso del Metaverso, da parte dei media tradizionali, a dispetto di chi sostiene che rilanciare le dinamiche social sulla carta stampata o in televisione equivalga a un suicidio. Nonostante la potenza numerica e l’appeal dei social presso il pubblico più giovane, la reputazione di un brand si costruisce ancora sui quotidiani e i periodici prestigiosi, cioè con chi investe in qualità di scrittura e di informazioni. La classifica dell’Indice Sintetico di Reputazione dimostra infatti che il patrimonio reputazionale dei brand è un asset duraturo da alimentare con contenuti di qualità e che i cosiddetti old media continuano ad avere un ruolo imprescindibile per aumentare la visibilità delle maison e contribuire alla loro crescita in rete.
Dalla nuova analisi emergono anche risultati che rendono sempre più consapevoli della profonda ipocrisia, che regola i social. Come conciliamo infatti l’evidenza che la rete premi quasi esclusivamente i brand attenti alla body positivity, cioè che da Gucci, Balenciaga, Chanel o Armani esiga un comportamento ortodosso, condotto nel solco del politicamente corretto più rigoroso, e poi applichi ai propri post i filtri più invasivi al fine di emulare una bellezza stereotipata e, nel caso delle ragazzine, di impronta patriarcale? La stessa reazione si prova osservando i risultati su un altro tema forte del momento, il vintage e l’heritage. La tematica dell’heritage, cioè della storia di un marchio come valore, si incrocia spesso con contenuti degli utenti che evidenziano quanto il prestigio del brand abbia un forte impatto sulle proprie scelte d’acquisto. Ancora oggi, nonostante l’affollamento del mercato e il moltiplicarsi di competitor, i marchi che possono vantare una forte tradizione e un prestigio basato sul ricco patrimonio reputazionale accumulato negli anni hanno una marcia in più nell’alimentare le conversazioni in rete degli utenti. Il fenomeno commerciale dei capi pre-owned, cioè usati, vive quasi esclusivamente su questi marchi che, da parte loro, lo sfruttano come strumento di promozione della sostenibilità in un’ottica di riciclo e di riutilizzo dei capi usati. Dalla lettura dei dati dell’analisi appare evidente come Gucci e Valentino abbiano centrato appieno lo spirito del momento con l’iniziativa Vault e l’avvio delle proprie campagne di valorizzazione del vintage.
Bene: ma come combiniamo tutte queste dinamiche positive con il boom dell’ultra-fast fashion cinese di Shein di cui il Foglio parlava diffusamente meno di un mese fa? Come coesistono la coscienza ambientalista che sottende al recupero e alla ri-vendita di capi usati con stracci che polverizzano ogni regola del lavoro, della produzione e dell’etica, copiando al ribasso Zara? Coesistono, infatti, attorno a un pre-giudizio di cui i brand si rendono raramente conto: da chi, come loro, applica moltiplicatori economici fino a 16, il mondo si aspetta un comportamento cristallino. Ma da se stesso, il mondo che acquista non aspetta niente altro che la propria soddisfazione. Fra i marchi più presenti nelle conversazioni online, Gucci si conferma al primo posto, mentre crescono Chanel e Versace. Il podio dei brand al centro del maggior numero di conversazioni online rimane quasi invariato rispetto all’ultimo trimestre del 2021. Gucci e Armani mantengono le prime due posizioni totalizzando rispettivamente 18.824 e 12.278 menzioni tra Owned Media e Earned Media nel periodo ottobre 2021 – marzo 2022. La classifica si muove però nelle posizioni successive: negli ultimi sei mesi sono cresciute, infatti, le menzioni di Chanel, che dalla quinta posizione arriva sul gradino più basso del podio con 8.390 contenuti, e Versace, quinta con 7.495 conversazioni online che la riguardano.
Interessante, come commentavamo nelle prime righe, il balzo in avanti di Balenciaga, a dimostrazione che le testimonianze spontanee da parte di celebrities e sportivi di risonanza mondiale valgono ancora oro, anzi valgono decisamente e come ovvio di più rispetto alle testimonianze prezzolate. Non basta inoltre la visibilità, è necessaria la qualità dei contenuti. Per misurare il valore delle menzioni, Comin&Partners ha utilizzato ancora l’Indice Sintetico di Reputazione (ISR), un indicatore che bilancia quantità e qualità di menzioni. Il volume di conversazioni non è tutto per i brand: se un marchio è al centro di un’elevata mole di conversazioni ma con sentiment non positivo, l’ISR sarà inferiore. Le due classifiche, infatti, mostrano posizioni leggermente differenti tra i brand: alcune aziende, pur essendo protagoniste di numerose conversazioni, non ottengono un valore dell’ISR elevato a causa di un sentiment meno positivo. Allo stesso modo, un brand al centro di minori conversazioni può ottenere un’ISR più alto se il sentiment degli utenti è positivo. Anche in questo caso, Gucci è in testa con un punteggio di 206, mentre crescono Chanel, Dior e Versace. Il brand nato a Firenze è seguito da Armani, che si conferma secondo con un valore dell’ISR pari a 138, e Dolce & Gabbana, che con un punteggio di 94 guadagna una posizione e il gradino più basso del podio.
Gli spostamenti più rilevanti rispetto alla precedente classifica riguardano Valentino e Balenciaga: il primo passa dal diciottesimo al dodicesimo posto, grazie a un punteggio dell’indice in crescita da 12 a 30 rispetto a sei mesi fa; Balenciaga, invece, guadagna tre posizioni in virtù di un ISR cresciuto da 4 a 15 negli ultimi due trimestri. Le maison risultano più interessanti anche di media e influencer, che forse influenzano meno di una volta o risultano meno credibili di un tempo. Nell’indagine condotta dall’Osservatorio, per la prima volta è stato verificato anche quale tipologia di creator avesse ottenuto il maggior numero di interazioni riguardo al tema dell’heritage, verificando che i brand sono la categoria più menzionata, riuscendo addirittura a superare i contenuti degli influencer più noti. Si tratta di una tendenza non scontata: nell’epoca in cui il ruolo degli influencer si fa sempre più forte e capace di orientare le preferenze degli utenti, i consumatori sono ancora attratti dallo storytelling dei brand stessi e dalla portata reputazionale che possono esprimere. A questo proposito, i contenuti degli utenti promuovono Prada e Valentino.
Nelle conversazioni online che si concentra sui temi della diversità e dell’inclusione, appunto topici (anche) per la riuscita commerciale, alcuni brand risultano particolarmente apprezzati dagli utenti e totalizzano il maggior numero di menzioni. Valentino, ad esempio, è il marchio più citato dagli utenti grazie alle circa mille conversazioni che coinvolgono i canali social della maison. Numeri simili per Prada, che raccoglie grande interesse degli utenti soprattutto per la collezione Fall Winter 2022. Da questo discende anche un ultimo fenomeno che vale la pena analizzare, e che è il “brand activism”. In merito all’attacco del presidente russo Putin all’Ucraina, le aziende che hanno risposto in maniera chiara, veloce e precisa hanno ricevuto un apprezzamento da parte degli utenti e dei consumatori. La moda, infatti, vive da sempre all’interno di un universo di valori nel quale il posizionamento dei brand risetto a grandi temi è cruciale per la reputazione del marchio
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