Alan Dershowitz. Foto dell'Ambasciata americana a Gerusalemme. Via Flickr

Appunti sul testo e sul contesto

Le risate sul “maccartismo a Martha’s Vineyard” seppelliscono le ragioni di Dershowitz

C’è il testo, e poi c’è il contesto. Senonché talvolta l’ordine degli elementi si inverte, con effetti bizzarri. E’ il caso del giurista Alan Dershowitz. Descrivendo in un editoriale un certo clima di inciviltà e intolleranza crescente a sinistra, quella rappresentata dagli inviti della deputata Maxine Waters a “reagire” ai funzionari di Trump ovunque li si incontri, Dershowitz è incappato in una frase fatale: “So queste cose perché le ho sperimentate sulla mia pelle a Martha’s Vineyard”. Segue spiegazione, ancora più fatale: il grande giurista di Harvard, la superstar televisiva che ha difeso Mike Tyson, O.J. Simpson e altre mille celebrità, lamenta che i suoi vecchi amici che frequentano come lui l’isola più esclusiva d’America fingono di non conoscerlo, si girano dall’altra parte, invocano, come nei campus, “trigger warning” e “safe space” per non incontrarlo, lo hanno “bandito dalla vita sociale” perché ha osato difendere Trump dalla prospettiva dell’impeachment e invece di compiere il suo dovere di bastonatore ogni tanto gli presta addirittura il suo consiglio. Dershowitz parla di “maccartismo a Martha’s Vineyard” e il New York Times racconta con pathos affettato la “gelida estate” dell’avvocato escluso dalla trama dei rapporti altolocati attraverso la voce di un cronista mandato sul posto a indagare questo caso di discriminazione. Lui ha detto che sull’isola c’è “tutta una congrega di persone che ha deciso di impedire alle persone di avere a che fare con me”, si è lamentato l’interessato, mentre il Times, mascherandosi da giornale del popolo, raccontava tutte le indicibili angherie a cui Dershowitz era sottoposto: martedì, ad esempio, erano in programma soltanto due feste per celebrare il suo ottantesimo compleanno.

  

Era inevitabile che tutto questo si trasformasse in un generatore di scherno e meme. Si trovano battute di ogni genere in rete sul perfido destino di Dershowitz: “Socrate è stato costretto a bere la cicuta, Ovidio, Dante e Emma Goldman sono stati esiliati. Margaret Sanger è stata messa in prigione. Rosa Luxemburg, Gandhi e Martin Luther King sono stati uccisi. Spinoza è stato scomunicato. Dershowitz non riesce a trovare nessuno con cui cenare a Martha’s Vineyard”, ha scritto il direttore di New Republic, Jeet Heer, in un tweet esemplare. Così il cortocircuito del ricco snob che lamenta di essere snobbato da altri ricchi snob ha completamente oscurato il senso di una presa di posizione che forse, invece, meritava di essere compresa prima di essere sbertucciata. Dershowitz è spesso politicamente in disaccordo con Trump e si è limitato a difenderlo dalla minaccia di un impeachment politicamente motivato. Ha scritto un libro sull’argomento in cui rispolvera le vecchie ragioni garantiste che aveva usato per difendere Bill Clinton dal “maccartismo sessuale” dei procuratori che volevano disarcionarlo con qualunque mezzo. Da “liberal-democratico in politica” e “neutrale libertario civile” ha difeso Trump con la Costituzione alla mano, ma questo per i suoi vecchi sodali è anatema e motivo sufficiente per l’esclusione dai circoli altolocati della villeggiatura altolocata, dove in condizioni normali ogni differenza si appiana nel nome della comune mondanità. Non in questo caso. Non ne fa una questione personale, Dershowitz: “La cosa non riguarda me [...] riguarda gli Stati Uniti d’America. Riguarda la nostra crescente intolleranza verso le idee con cui non siamo d’accordo. Trump di certo ha delle responsabilità in questo clima di divisione, ma le condivide con Maxine Waters e gli avvocati dell’aggressione degli oppositori politici”. Ma il contesto da cui ha detto queste cose ha preso il sopravvento sul testo delle sue argomentazioni.

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