John Everett Millais, Ophelia, 1851 ca

La disperazione è il motore dei suicidi americani

Perché negli Stati Uniti aumentano le persone che si tolgono la vita? La spiegazione dello psichiatra Routledge sulle “anime perse” alla ricerca di significato

I dati del Centers for Disease Control and Prevention dicono che il numero di suicidi negli Stati Uniti è in crescita. Si tratta di un aumento del 25 per cento rispetto al 1999, una tendenza che si riscontra in tutti i ceti, le fasce di età, le etnie e le condizioni di vita. Il rilievo statistico è in linea con i molti studi che in questi ultimi anni hanno segnalato alcune tendenze inquietanti nella società americana, primo fra tutti il lavoro degli economisti di Princeton Annie Case e Angus Deaton, che hanno introdotto nella conversazione nazionale la categoria della “morte per disperazione”. Si tratta di una combinazione letale di overdose, alcolismo, abusi di oppiacei, povertà, sfiducia e suicidio in senso stretto che ha fatto abbassare l’aspettativa di vita di certe categorie di americani, dato che contraddice i trend di lungo periodo.

  

Perché i suicidi aumentano fra gli americani? La spiegazione più comune ruota attorno all’infermità mentale. Le psicosi che affliggono gli americani, recita questa eziologia, non vengono trattate adeguatamente in un sistema sanitario che fa acqua da ogni parte, e dunque il decorso tende a sfociare nel più tragico degli esiti. Questa spiegazione non s’accorda però con il fatto che gli psicofarmaci non sono mai stati tanto prodotti, prescritti, diffusi e facilmente disponibili come oggi. La crisi del sistema sanitario è bilanciata da un’invasione di farmaci a basso costo e alta reperibilità. Lo psichiatra Clay Routledge propende invece per un’altra spiegazione: “Sono convinto che la crisi di suicidi nel nostro paese sia parte di una crisi di assenza di significato. Affrontarla in modo serio richiederà una comprensione di come i recenti cambiamenti nella società americana – cambiamenti che vanno nella direzione di una maggiore disgregazione e di un più debole senso dell’appartenenza – aumentano il rischio della disperazione esistenziale”, ha scritto sul New York Times. Usando prove ed argomentazioni fra la psichiatria e la biologia evolutiva, Routledge individua nella crisi del significato il motore dei suicidi in crescita: “La nostra è una specie che non tende soltanto alla sopravvivenza, ma al significato. Desideriamo vite che hanno importanza. E’ quando perdono il senso di uno scopo che le persone diventano psicologicamente vulnerabili”.

 

Studi empirici dimostrano che chi ha uno scopo per vivere si ammala meno, guarisce più in fretta, fronteggia in modo più saldo situazioni di difficoltà emotiva e psicologica. Lo scienziato cita ricerche secondo cui “non è sufficiente essere circondati da altre persone e nemmeno piacere loro. Abbiamo bisogno di sentirci importanti, di sentire che stiamo dando un contributo significativo al mondo. Questo spiega anche perché le persone si possono sentire sole e insignificanti anche quando sono circondate da altri che li trattano bene: incontri sociali piacevoli o divertenti sono sufficienti a salvarci dalla disperazione”. Una società che vede disgregarsi i centri di significato – famiglia, organizzazioni religiose, partiti ecc. – diventa inevitabilmente più vulnerabile alla disperata oscurità che avvolge ogni suicidio, e contribuisce alla creazione di un clima politico segnato da antagonismo e violenza. Conclude Routledge: “La nostra frammentata cultura politica è alimentata non soltanto da disaccordi ideologici, ma anche dalla disperata ricerca, che accomuna tutte le anime perse, di un significato ovunque lo si possa trovare”.