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Perché la Casa Bianca ha quasi cancellato i briefing in diretta tv

L’improbabile nesso fra le conferenze stampa di Trump, il pingue Spicer, Chelsea Clinton e l’Uomo Clorofilla

New York. Indignato come solo i giornalisti televisivi sanno essere, Jim Acosta della Cnn si è ribellato pubblicamente alla decisione dell’Amministrazione di ridurre, fino forse a farli scomparire, i briefing della Casa Bianca in diretta televisiva, idea inaccettabile e anacronistica che rende “inutile” il lavoro di Sean Spicer, il portavoce di Donald Trump che in questo modo si proteggerebbe dalle gaffe che fa praticamente ogni volta che compare in diretta televisiva. La democrazia muore nell’oscurità, il Washington Post lo ha scritto sotto la testata, e anche gli ascolti televisivi non si sentono tanto bene, il pasionario Acosta lo sa e ne ha fatto una questione di principio grande così, facendosi selfie nella sala stampa oscurata e invitando tutti i colleghi a unirsi al boicottaggio. Altri hanno suggerito di mandare gli stagisti al briefing, proposta che fa capire cosa pensano nelle redazioni americane degli stagisti. Tutto si porta nella logica spietata della resistenza al nemico e del mantenimento dello share. Ma l’indignazione di Acosta e degli altri non coglie l’ironia tragica di quanto sta accadendo nel dibattito intorno alla comunicazione presidenziale.

   

L’idea di oscurare i briefing l’ha lanciata, a mo’ di boutade, Trump stesso in un tweet (il presidente che lancia boutade via Twitter? Possibile?): “Forse la cosa migliore da fare è cancellare tutti i ‘briefing della stampa’ e distribuire risposte scritte per essere più precisi?”. I primi a prendere sul serio l’iperbole sono stati i membri del team della comunicazione di Trump. Ora, va detto che quelli della banda di Spicer devono sentirsi, si parva licet, un po’ come d’autunno sugli alberi le foglie, oppure, che sicuramente licet, come concorrenti dell’isola dei famosi in perenne nomination; e va detto anche che difendere dal vivo un presidente con due account Twitter, tre o quattro personalità, decine di canali di comunicazione è un lavoro logorante; e va aggiunto che il presidente, come si sa, è ossessionato dalla rappresentazione televisiva, ed è lui stesso una vittima della manipolazione dei network che denuncia (è uno dei più grandi paradossi di tutta l’epopea delle fake news). Insomma, non dev’essere sembrato vero a Spicer e compagni che il capo suggerisse di prendere una misura che avrebbe impedito a lui di vedere le loro performance in diretta. Hanno intravisto la possibilità di uscire dallo stato di perenne nomination. In un certo, perverso senso i giornalisti non c’entrano niente con questa storia, è una questione di comunicazione interna, e ogni indizio sembra dire che non è solo Trump a voler fare un torto agli odiati media, ma sono i suoi uomini a volere un po’ di privacy per navigare nel tempestoso mare delle contraddizioni. Quando sembrava che la situazione non potesse diventare più surreale di così, ecco la smentita.

  

Con la sfacciataggine di cui solo i giornalisti della carta stampata sono capaci, Rosie Gray dell’Atlantic ha mandato un sms a Steve Bannon per chiedergli ragione di questo progressivo oscuramento dei briefing. Lui, anima nera, consigliere oscuro, vermilinguo infido, criptofascista evoliano, personaggio incappucciato in stile da Codice da Vinci, molto anni Dieci, ha risposto con tre parole: “Sean got fatter”. Spicer è ingrassato. Non fanno più i briefing perché il portavoce ha preso peso. Si può discutere che una risposta del genere sia parte di una buona strategia di comunicazione, ma non si può discutere se sia una battuta. Sempre che non siate Chelsea Clinton. Inalberata come solo la figlia di un ex presidente sa essere, Chelsea ha preso Twitter e ha scritto che il “fat shaming” non è divertente, le battute sul peso sono di pessimo gusto, non c’è nulla da ridere. Ci mancava soltanto un messaggio di solidarietà a Spicer. L’ironia involontaria in tutto questo è letale, ma Chelsea non è la sola che non riesce a non prendersi sul serio. Talvolta questo giornale riceve lettere di rappresentanti di aziende che prendono alla lettera la rubrica di Maurizio Milani e protestano. Ad esempio, i rappresentanti dell’associazione mondiale per la difesa della clorofilla sono furibondi, dicono che l’Uomo Clorofilla è un impostore in cerca di visibilità. E’ tutta una fake news.

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