Jeb si fa una squadra di vecchi e compete con Hillary, regina dell'antirottamazione. E' il futuro

Jeb si fa una squadra di vecchi e compete con Hillary, regina dell’antirottamazione. E’ il futuro

New York. A sinistra si è molto (e facilmente) ironizzato sul discorso di politica estera con cui Jeb Bush doveva dimostrare di essere tutta un’altra cosa rispetto ai presidenti di famiglia, candidato presidenziale in grado di attirare il voto dei millennial che sono nati sotto la presidenza del padre e sono cresciuti sotto quella del fratello. I sondaggi dicono che, di entrambi, questa generazione non ha un buon ricordo, per dir così. L’ironia è tutta nel contrasto con il team di consiglieri di politica estera che il giovane Jeb ha presentato, probabilmente selezionati scorrendo un vecchio rolodex trovato in una tenuta di famiglia. Un paio di nomi, John Negroponte e Paul Wolfowitz, hanno avuto ruoli in entrambe le amministrazioni Bush e pure in quella Reagan, gli altri tendenzialmente solo in quella del fratello, e si va dal capo della Cia, Michael Hayden, al procuratore generale Michael Mukasey fino a Michael Chertoff e Stephen Hadley. James Baker funge da pater familias di questa festicciola tra amici che è purissima eredità bushiana senza un minimo istinto non si dica di rottamazione ma di turnover, di ricambio generazionale. L’unico della squadra che non si era mai visto al governo è Lincoln Diaz-Balart, sessantenne deputato della Florida che aumenta quel coefficiente latinos che per l’ex governatore è cruciale.

 

Evidentemente è sugli ispanici che Jeb punta per dare la sua spinta in questa tettonica a placche del Partito repubblicano, mentre l’appeal sui giovani non sembra sia in cima alle priorità. Forse una strategia per capitalizzare un elettorato riottoso, resistente alle strategie, di difficile lettura, libertario e magari pure un po’ apatico non esiste – ancora – e per non sbagliare si punta sulla squadra che vince, o almeno su quella che un tempo ha vinto. Viste le recenti performance di Obama in politica estera, la scelta di una squadra di esperienza non pare poi così peregrina: la sinistra che ironizza è la stessa che si lamenta dell’assenza di strategia, della mancanza di un principio ispiratore, della debolezza di fronte agli scossoni del mondo. Per reazione si torna all’usato sicuro. “Ogni presidente impara da quelli che sono venuti prima, i loro principi, i loro cambiamenti”, ha detto Bush ieri a Chicago, in un discorso che non rimarrà nella storia come un inno alla rupture generazionale.

 

Hillary Clinton, che del movimento antirottamazione è nume tutelare, nel 2008 si era presentata con una squadra tutta giovane, rosa e piena di energie, ottima per togliersi di dosso la polvere dinastica e sfidare un senatore bello e sognante che piaceva ai giovani. Dopo anni di disillusioni ha presentato i primi nomi che gestiranno le operazioni della campagna (ancora non annunciata: a questo punto anche quelli con gli adesivi Ready for Hillary sono confusi, non si sentono più tanto pronti). Al vertice c’è il vecchio John Podesta – già capo di gabinetto di Bill e altre migliaia di cose – poi ci sono Joel Benenson, John Anzalone, David Binder, Jim Margolis e altri nomi, tutti rigorosamente maschi, letti un milione di volte in milioni di noiosissimi articoli di ricognizione dell’universo clintoniano. A sinistra s’ironizza sul giovane Bush che in realtà è vecchio e si affida a schemi e persone vecchie, ma chi è senza peccato eccetera.

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