What Will We Live Behind? di Nino Sarabutra. Tutte le immagini per concessione della Bangkok Art Biennale

Oltre la felicità

Massimo Morello

Nello shopping, nel sesso, nel sogno di una vacanza esotica, in una vita difficile: la ricerca della felicità non dovrebbe temere contaminazioni o stereotipi. Non dovrebbe aver paura del potere o del conformismo. Le lezioni per l’Occidente della Bangkok Art Biennale

«Avere una compagnia aerea… Perché è una cosa figa e la gente mi considererebbe una donna in gamba».
«Essere mafia: molti business, nessuno dà fastidio»
Ma soprattutto comperare casa, viaggiare, aiutare i genitori, aprire un negozio da parrucchiera.
E ancora: «Vorrei rispettassero il mio lavoro»
Questi sono i sogni di un gruppo prostitute (donne e kathoey, travestiti) intervistate nei bar di Chiang Mai, città considerata il centro culturale della Thailandia. Li hanno raccontati, con più sorrisi che tristezza, in un video: “I have dreams”. È opera di Chumpon Apisuk, eclettico artista thai, che lo ha presentato alla prima Bangkok Art Biennale. Il video cerca di “far crescere la fiducia in se stessi da parte delle lavoratrici del sesso ed è un mezzo di dar voce al loro orgoglio” ha dichiarato Chumpon.

«La stigmatizzazione delle lavoratrici del sesso degrada la loro umanità, le disumanizza. Forse il video ci aprirà gli occhi sulle loro vite e i loro sogni» dice Apinan Poshyananda, direttore artistico della Biennale, personaggio che si sta rivelando come autore di una vera e propria rivoluzione culturale in un paese, anzi in una metropoli, più nota per i suoi centri commerciali e i suoi ristoranti che per i musei o le gallerie. Ciò accade proprio perché Poshyananda non rinnega la cultura edonistica thai né cerca di contrastarla. Anzi, la utilizza come una corrente. Appare sin troppo chiaro dalle sue dichiarazioni circa i sogni delle prostitute. A una mente occidentale suonano scorrettissime, ma qui, in una cultura in cui il sesso non ha il marchio del peccato originale, è un modo “difficile, complicato, ma intenzionale”, afferma Poshyananda, di riflettere sul tema della felicità.
“Beyond Bliss”, oltre la felicità, è il tema della Biennale. «Viviamo in una condizione di paura, di protesta, di delusione quindi abbiamo chiesto agli artisti di interpretare questa mancanza di felicità dovuta ai conflitti politici, alle malattie, all’inquinamento, alle migrazioni, alla tecnologia» spiega Poshyananda. «La felicità è una condizione fugace, effimera e i nostri artisti sono chiamarti a interpretarla e catturarla nelle diverse varianti e intensità».

Alien Capital (modello) di Sornchai Phongsa

Hope and courage Human compassion Love and values of beauty in the way of life, di  Keeta Isran (Muslimah Collective)

Accade così con un’altra opera: “What Will You Live Behind?” della giovane Nino Sarabutra. È un’installazione composta da centomila piccoli teschi in porcellana bianchi che coprono un sentiero del Wat Prayoon, tempio di Bangkok famoso per il suo chedi, il grande reliquiario, bianco. «Voglio ricordare alla gente che ogni passo potrebbe essere l’ultimo. Dunque, se vogliamo lasciare qualcosa dobbiamo farlo oggi» dice Nino.

What Will You Live Behind di Nino Sarabutra

Tha Tien, di Sakarin Krue-on

I templi, i monasteri sono tra gli spazi espositivi dei 75 artisti presenti alla Biennale (la metà thai, per precisa scelta dei curatori). Ma non in quanto luoghi di culto. «Sono luoghi dove la mente può trovare rifugio» dice Poshyananda. In un’apparente contraddizione, molte altre opere sono esposte nei grandi shopping mall, i centri commerciali, negli hotel di lusso, i santuari dedicati all’edonismo thai.

Inflatable Flower Orange di Choi Jeong Hwa

Asian Workers Covered di Ralf Tooten

Ma, ancora una volta, la contraddizione è solo nell’ottica dell’osservatore occidentale. «Ci siamo guardati intorno: cosa c’è di forte qui? I templi, i mall. Rappresentano tutti la ricerca della felicità, fisica e mentale. Puoi trovare la felicità nel percorso tra l’uno e l’altro» spiega Poshyananda. Per il direttore della Biennale, l’interpretazione “religiosa” del concetto di felicità non è importante, almeno nel senso che diamo al termine religione. «Felicità e tristezza vanno di pari passo, quindi la ricerca dovrebbe puntare a una felicità che superi questa sincronia». Come spesso accade in un contesto culturale così profondamente condizionato dal buddismo, si procede per sottintesi, elusioni, paradossi utilizzati come strumento di riflessione. «Il tema stesso della Biennale è intenzionalmente paradossale: la felicità si raggiunge superando la felicità».
Il paradosso della felicità, tuttavia, ha anche un sottinteso politico. «Per anni la giunta ci ha detto “devi essere felice”. Il tema della mostra, oltre la felicità, ha un che di ironico» dice Poshyananda, che sembra accomunare gli stereotipi della felicità consumistica, del sesso e delle spiagge con le velleità governative di uno stato “etico”.
Insomma, la Biennale di Bangkok, oltre a risvegliare una latente interesse dei thai – soprattutto i giovani – verso la cultura, offre il pretesto per una nuova riflessione sul modo in cui l’Occidente continua a vedere l’Asia e pretende d’interpretarla (a volte, come s’è vito nel caso D&G, con risultati tanto disastrosi quanto patetici). Le critiche alla società consumistica o agli effetti sociali deli centri commerciali, ad esempio, risultano incomprensibili in una società inclusiva che non sogna ritorni al passato ma cerca di adattarlo al futuro.

The Spinning Wheel, di Kawita Vatanajyankur

È anche l’ennesimo detonatore di storie: visitando le esposizioni nella sede della East Asia Company, ad esempio, appare Joseph Conrad quando sostava qui in attesa del suo primo imbarco. E la sagoma verticale della piscina che inquadra i grattacieli sull’altra riva del fiume diviene uno schermo su cui proiettare le nostre fantasie.

Zero, di Elmgreen & Dragset

Infine, e non meno importante, la Biennale di Bangkok è un riconoscimento a quella di Venezia, cui si ispira senza complessi. «Noi abbiamo annunciato la nostra biennale a Venezia intenzionalmente. La facciamo a modo nostro ma non possiamo non pensare alle connessioni con Venezia, con la sua storia» dice Poshyananda. «L’idea di economia creativa è italiana».
Curioso, ironico, paradossale, ricordarselo a Bangkok.