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Lo sbirro di Macron

Nel 2014 miglior sindaco di Francia. Ha fatto di Lione un polo di attrazione culturale e industriale. “Ha anticipato il macronismo”

Mauro Zanon

E’ stato sindaco (molto amato) di Lione, ora è il ministro più popolare Gérard Collomb: all’Interno un socialista fissato con la sicurezza

Il giorno dell’investitura, lo scorso 14 maggio, non è riuscito a trattenere le lacrime. Perché Gérard Collomb, quel posto, lo attendeva da una vita. A 70 anni, l’ex sindaco socialista di Lione, cantore del riformismo e sostenitore della prima ora di Emmanuel Macron, è finalmente salito ai piani alti della République, e non in un ministero qualunque, bensì a Place Beauvau, sede dell’Interno, il ministero più potente di Francia. Troppe volte, durante i rimpasti dei precedenti governi socialisti, era rimasto vicino al suo telefono in attesa, invano, della chiamata della promozione, della giusta ricompensa nazionale per il suo successo locale, quello di Lione, dove per sedici anni, dal 2001 al 2017, è stato l’amato patron. E per questo, stava iniziando a convincersi che era destinato a essere soltanto un apprezzato amministratore di provincia, a fare la stessa fine di quei baroni regionali del socialismo che, nonostante la loro popolarità, non sono mai stati presi in considerazione da rue de Solférino, cuore del potere socialista nazionale. Ma Macron, quando si è trattato di formare l’équipe di governo, si è ricordato di quel senatore-sindaco che già nel 2015, ai tempi in cui En Marche! era soltanto una bozza di progetto, gli era stato vicino, lo aveva sostenuto, e gli aveva dato i primi consigli per sopravvivere nel terreno minato della politica parigina. Ed eccolo lì, ora, numero due dell’esecutivo, ministro di Stato e “premier flic” di Francia, con i dossier più caldi della République, dal terrorismo all’immigrazione, passando per la questione securitaria e la riorganizzazione dei servizi segreti. “Era importante per Emmanuel avere qualche ministro d’esperienza. Non poteva avere soltanto dei ministri di 35 anni”, sussurra un membro della squadra del premier Edouard Philippe.

 

Il "premier flic" di Francia ha in mano i dossier più caldi della République, dal terrorismo all'immigrazione ai servizi segreti

Da quando ha preso posto a Place Beauvau, Collomb ha immediatamente imposto il suo stile “taiseux faiseux”, come si dice in Francia, di uomo discreto che misura con il contagocce gli interventi sui media, ma dietro le quinte si distingue per il suo pragmatismo. Lontano dall’iperattivismo nervoso di Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno sotto la presidenza Chirac, e dalla frenesia di Manuel Valls, primo poliziotto di Francia dal 2012 al 2014, Collomb rivendica la sua riservatezza. “L’iperattivismo teatralizzato dei ministri precedenti ha prodotto forse una politica efficace? No. Era necessario mettere fine a questa abitudine”, commenta uno dei suoi colleghi di governo. Ma Collomb, soprattutto, rivendica da sempre la sua politica securitaria, anche se questo gli costa innumerevoli critiche da parte di una certa sinistra. A Lione, da primo cittadino, è stato il primo a introdurre un sistema di video-sorveglianza capillare, con l’installazione di più di cinquecento telecamere. Perché “tranquillità pubblica” e “tolleranza zero” verso la criminalità dovevano essere i due pilastri del rilancio della metropoli lionese, disse. Inoltre, fin dal primo mandato, ha rafforzato la polizia municipale, aumentando gli effettivi e conferendole maggiori risorse. “Collomb è una persona che vuole bene ai poliziotti e ai magistrati. Fin dal suo arrivo a Lione, ha fatto venire un commissario divisionario nel suo gabinetto, per ricevere un supporto dal punto di vista tecnico”, ha spiegato Jean-Yves Sécheresse, ex vice sindaco di Lione con delega alla Sicurezza. Negli anni Duemila, lui è che considerato uno dei capofila dell’ala riformista del Ps, la cosidetta “aile droite”, è stato l’artefice della conversione securitaria di una parte del partito. La questione della sicurezza, del resto, è un affare di famiglia chez Collomb, perché anche il figlio, Thomas, luogotenente di formazione, ha lavorato a lungo per la Brigade de repression du banditisme (Brb), a Lione, prima di entrare nei ranghi della polizia giudiziaria (Pj), e in seguito occuparsi in prima fila della securizzazione degli Europei di calcio del 2016.

 

Come il ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, Collomb è convinto che le parole sinistra e sicurezza non si respingano, e anzi vadano a braccetto. “La sécurité est un mot de gauche”, insomma. Concetto su cui si è soffermato più volte durante il suo primo discorso da inquilino di Place Beauvau. “Dobbiamo aumentare la sicurezza dei nostri concittadini”, ha affermato, riducendo la delinquenza, lottando contro la recidiva, ma soprattutto migliorando le relazioni tra la polizia e i cittadini. Riconciliandoli. “E’ intollerabile che una persona anziana che rientra a casa propria di sera abbia paura”, ha sottolineato, per evocare uno dei cantieri prioritari del suo mandato, ossia la reintroduzione, dal prossimo anno, della “polizia di prossimità”, misura faro del programma di Macron candidato. “Dobbiamo mettere in piedi un nuovo modello di polizia, vicino ai cittadini e presente ovunque sul territorio”, ha spiegato il ministro dell’Interno. La polizia di prossimità era stata introdotta dall’ex premier socialista Lionel Jospin, come simbolo della “politica securitaria” del Ps, per poi essere cancellata, nel 2003, da Nicolas Sarkozy, quando quest’ultimo era ministro dell’Interno. “E’ una vecchia fissazione della gauche”, attacca l’opposizione. Ma il ripristino di un controllo capillare sul campo, che Collomb aveva già applicato a Lione, e ora vuole estendere in tutta la Francia, è plebiscitato dai cittadini: secondo un recente sondaggio Fiducial/Odoxa per il Figaro, l’84 per cento dei francesi giudica la misura “efficace” per “rafforzare la sicurezza nei quartieri”. I sondaggi apparsi in questi primi quattro mesi di presidenza Macron dicono anche che Collomb è il ministro più popolare del governo Philippe, accanto al titolare dell’Ecologia, Nicolas Hulot, e al suo collega agli Esteri, Jean-Yves Le Drian, e che i suoi modi muscolari piacciono molto ai suoi concittadini. Per la sinistra giacobina, invece, Collomb è un “infiltrato di destra”, un tipaccio che non merita la tessera del Partito socialista, un ministro-sbirro che potrebbe stare bene accanto a Sarkozy, un “Big Brother”, come lo definì nel 2002 l’ong Privacy International, per l’installazione del sistema di video-sorveglianza a Lione. Ma in quella che è diventata la capitale della macronia, tutti hanno un gran ricordo del “marcheur” Collomb. Perché non soltanto ha reso Lione la metropoli più sicura di Francia, ma ne ha fatto un grande polo di attrazione culturale e industriale, un piccolo paradiso per gli investitori, grazie a una politica di alleggerimento della pressione fiscale e di misure volte alla dinamizzazione economica dei quartieri più trascurati. Quando fu eletto “miglior sindaco di Francia”, nel 2014, il settimanale Express lo mise in copertina sotto il titolo: “L’iper-sindaco”.

 

"Se si vuole preservare il diritto d'asilo, non bisogna confondere coloro che scappano da paesi in guerra con i migranti economici"

Un primo cittadino onnipresente, con il controllo totale dei dossier, e che per primo aveva praticato l’“ouverture”, dal centro-sinistra al centro-destra, su una linea autenticamente riformista. “Gérard ha anticipato il macronismo. Il superamento del clivage destra-sinistra, lo ha messo in pratica a Lione per sedici anni”, dice oggi un fedelissimo di Macron. E’ vero che “rassembler”, riconciliare e riunire i riformisti di sinistra e destra sotto una stessa casa, superando i dogmatismi che impedivano la realizzazione di un progetto comune, è stata la sua ossessione durante tutta la sua parentesi nella metropoli lionese. E quel “modèle lyonnais”, cui l’ex candidato di En Marche! si è ispirato per lanciare il suo movimento, lo vuole applicare anche durante il suo mandato nazionale da ministro dell’Interno. “L’impresa sarà ardua”, dice Collomb ai membri del suo gabinetto, ma gli obiettivi sembrano essere chiari. Da quando ha preso le redini del ministero, ha moltiplicato le misure “hard”, senza badare troppo alle indignazioni dell’ala sinistra del Ps e alle urla dei manifestanti ostili alla riforma del lavoro, che lo hanno soprannominato il “ministro della repressione”. La più importante di queste misure è la nuova legge antiterrorismo, votata mercoledì scorso, che mira a rendere permanenti alcune misure dello stato d’emergenza, in vigore dagli attentati islamisti del novembre 2015 a Parigi. Nel dettaglio, il progetto legislativo comprende la possibilità di compiere perquisizioni di notte, l’introduzione del braccialetto elettronico per i sospetti, la semplificazione delle procedure di monitoraggio dei device elettronici e maggiori poteri ai prefetti, che potranno decidere di confinare i soggetti pericolosi in determinate zone o anche chiudere temporaneamente i luoghi di culto islamici se in questi viene fatta propaganda jihadista.

 

“Tutte le leggi che promuoveremo in materia di sicurezza saranno equilibrate, volte a preservare la libertà individuale, tenendo conto, al tempo stesso, della realtà del momento che è una realtà di intensa minaccia terroristica”, ha dichiarato a France Info. Ma diverse associazioni, tra cui Amnesty International, e la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, sono già sul piede di guerra, promettono barricate, e gridano: “Stato d’emergenza, stato di polizia!”. Collomb fa come se niente fosse. Perché all’ideologia ha sempre preferito il pragmatismo, e la sicurezza dei suoi concittadini viene prima di tutto. “Abbiamo scelto di rafforzare la sicurezza dei francesi, di non cedere dinanzi alla minaccia terroristica. Puntiamo a garantire la massima sicurezza di tutti i francesi, ma senza sacrificare le nostre libertà”, ha detto al Figaro. L’altra legge, promossa dal nuovo titolare dell’Interno, che ha fatto arricciare il naso alla Parigi benpensante, è quella sull’immigrazione e sul diritto d’asilo. Lo scorso 5 settembre, davanti ai prefetti, il presidente Macron ha sottolineato la necessità di una “rifondazione della politica migratoria e del sistema d’asilo”, e Collomb ha assicurato che la futura legge concilierà “fermezza e umanità”.

 

"Dobbiamo mettere in piedi un nuovo modello di polizia, vicino ai cittadini e presente ovunque sul territorio". I francesi d'accordo

Nel menù: facilitare i “ritorni forzati”, dopo che lo scorso anno soltanto un quarto dei clandestini interpellati è stato rispedito nel proprio paese d’origine; il dimezzamento delle tempistiche di trattamento delle domande d’asilo, dai quattordici mesi attuali a sei mesi entro il 2018; l’apertura di due nuovi centri di accoglienza in Francia, per evitare la creazione di altre “giungle di Calais”; un distinguo netto tra i migranti che fuggono dai teatri di guerra e i migranti economici. Su quest’ultimo punto, Collomb si è espresso in questi termini: “Se si vuole preservare il diritto d’asilo non bisogna confondere coloro che scappano da paesi in guerra, o fuggono da persecuzioni politiche, e i migranti economici”. E prontamente, il quotidiano progressista Libération ha scritto che Collomb “vuole distinguere tra i migranti buoni e quelli cattivi”. L’ultima inchiesta di opinione dell’istituto Ipsos, mostra, tuttavia, che la maggioranza dei francesi, il 53 per cento, ritiene che ci siano “troppi immigrati” in Francia, che la politica di controllo dei flussi migratori condotta da Collomb, sul modello del suo omologo italiano Minniti, vada, insomma, nella giusta direzione.

 

L’altro grande cantiere su cui il nuovo ministro dell’Interno sta concentrando le sue attenzioni riguarda la riorganizzazione dei servizi segreti, iniziata a giugno con la creazione di una “task-force anti-Daesh” all’Eliseo, attiva ventiquattro ore su ventiquattro. L’obiettivo è quello di migliorare il coordinamento tra le varie divisioni dell’intelligence, e soprattutto tra la Dgsi, i servizi interni, e la Dgse, i servizi esterni, che in questi anni hanno spesso mostrato una reciproca ostilità, e rallentato gravemente il passaggio di informazioni importanti su individui considerati pericolosi per la sicurezza nazionale.

 

Nel 2014 miglior sindaco di Francia. Ha fatto di Lione un polo di attrazione culturale e industriale. “Ha anticipato il macronismo”

Per Collomb, il tempo in cui era perfidamente soprannominato un “loser”, a causa dei veti di Mitterrand e delle mancate chiamate di Hollande, è alle spalle. Padre di cinque figli, con un passato da professore di lettere classiche, prima di diventare deputato Ps, negli anni Ottanta, in quota Michel Rocard, per “Gégé”, come lo chiamano affettuosamente gli amici, è giunto il momento della consacrazione.