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I privilegiati della bontà dall'Unicef alla Fao le allegre caste dell'Onu

Giulio Meotti

“Ginevra ha le camere d’albergo più care del mondo a causa di tutti questi funzionari delle Nazioni Unite che non pagano di tasca propria”

All’Onu circola una battuta: “L’unico malato che l’Organizzazione mondiale della sanità non riesce a curare è la burocrazia”. A maggio, di fronte al Palazzo delle Nazioni di Ginevra, dove ha sede il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, cinquemila persone si sono ritrovate per manifestare. Non erano venezuelani la cui sofferenza sotto il regime di Chávez e Maduro è stata ignorata e perfino giustificata da quello stesso consiglio dominato da tiranni e corrotti. Non erano siriani che volevano denunciare la presenza del regime baathista in seno al Consiglio. Non erano neppure israeliani vittime del terrorismo, presi di mira sistematicamente dalle risoluzioni del Consiglio. No, erano cinquemila dipendenti dell’agenzia dell’Onu, arrabbiati per il taglio del loro misero stipendio. “Il taglio dello stipendio si tradurrà in una significativa riduzione della retribuzione per una parte dei 5.700 dipendenti delle Nazioni Unite attualmente in servizio a Ginevra”. Un impiegato con dieci anni di esperienza e tre figli a Ginevra può arrivare a guadagnare fino a 147 mila dollari all’anno. Il taglio dello stipendio del sette per cento equivale a 10-12 mila dollari. Niente male per un carrozzone non soltanto inutile, ma anche dannoso. Questa settimana, al Consiglio dei diritti umani di Ginevra sono stati eletti i nuovi membri: Qatar, Pakistan, Congo, Nigeria, Angola e Afghanistan, ovvero alcuni dei più grandi massacratori di diritti umani del pianeta.

 

Un dipendente con dieci anni di esperienza e tre figli a Ginevra può arrivare a guadagnare 147 mila dollari all'anno

Quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York ha adottato il bilancio di 5,4 miliardi di dollari per il biennio 2016-2017, il Palazzo di vetro ha allocato 846 milioni di dollari per il progetto di rinnovamento del complesso del Palazzo delle Nazioni a Ginevra. All’Onu non si lesinano mai spese. Da anni, l’opinione pubblica occidentale è stata aizzata dalla stampa contro la “casta”, i membri del Parlamento, i rappresentanti del privilegio, le cui esistenze dorate e fuori dal mercato sono legate al peccato originale della politica. Ma c’è una casta di veri intoccabili, perché ammantata di buoni sentimenti, azioni corsare e tentativi di salvare “l’umanità”. Si tratta di una burocrazia che non conosce austerity, che ingrossa e ingrassa ogni anno di più, e la cui tendenza alla pachidermia è spesso direttamente proporzionale alla propria inutilità. E’ la casta dei buoni. Sono le agenzie delle Nazioni Unite. “Un sistema occupazionale gonfio”, come lo ha definito Jean-Pierre Lehmann, professore di Economia politica internazionale a Losanna. E’ vero, con ventisette edifici e più di un milione di metri quadrati suddivisi tra Bruxelles, Strasburgo e il Lussemburgo, anche il Parlamento europeo non scherza, dando lavoro a 39.715 persone. E tuttavia soltanto l’elefante onusiano non attira mai odio, ma solo ossequio, sentimenti di virtù e orgoglio nel nobile lavoro che vi viene svolto. Tutto è permesso a questa nuova aristocrazia della compassione. Anche stanziare cinquanta milioni di dollari a una inutile Commissione economica dell’Onu per l’Europa, con sede a Ginevra, dove l’Onu spende un miliardo di dollari all’anno. La settimana scorsa, Stati Uniti e Israele hanno annunciato l’abbandono dell’Unesco, l’agenzia Onu per la cultura e la scienza, il cui sessanta per cento del budget finisce in stipendi, e in alcuni casi la percentuale dei costi di struttura ha raggiunto persino l’ottanta per cento.

 

Il “problema” dell’Unesco è che la sede si trova a Parigi, per cui i dipendenti appena possono vi si fanno trasferire. Così i tre quarti del personale ingrossano le file di una macchina superiore anche alla Fao a Roma, che il presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, ha definito un “pozzo di denaro senza fondo”, auspicandone la chiusura. Anche la metà delle spese della Fao se n’è andata a lungo in gestione della struttura. Lo ha rivelato il rapporto di un comitato di valutazione esterna commissionato dalle Nazioni Unite e guidato da Leif E. Christoffersen: “In molti uffici i costi amministrativi sono superiori ai costi del programma”. Si tratta dello sguardo più completo sulla babele incredibile di questa agenzia. Quarantuno milioni e mezzo di euro sono per l’“ufficio del direttore generale”, accanto all’“ufficio di coordinamento e decentralizzazione” (7,1 milioni di euro), l’“ufficio legale” (5,3 milioni di euro), l’“ufficio del programma e della gestione del budget” (altri 11 milioni), mentre le tre voci “food” raccolgono 90 milioni di euro, circa il 15 per cento del bilancio generale. La sede Fao più costosa è quella di Bangkok (18 milioni di euro). Sette milioni di euro se ne vanno in “meeting e protocollo”, 17,6 milioni per la comunicazione, 20,2 milioni per “il coordinamento e il decentramento dei servizi”. Più sono belle le sedi delle agenzie dell’Onu, più sono gonfie di personale, perché tutti vorrebbero lavorare lì. Non c’è solo la sede della Fao, che si affaccia sull’Aventino e il Circo Massimo a Roma. Ci sono l’Unesco, che ha sede in un magnifico edificio costruito da Pierluigi Nervi e Le Courbusier con vista sulla Torre Eiffel, e il Palazzo delle Nazioni di Ginevra, da cui si vedono il lago e le Alpi (l’edificio sarà presto rinnovato al costo di 846 milioni di euro). E a questi va aggiunto il Palazzo Wilson sul lago di Ginevra, dove ha sede l’Ufficio del commissario Onu per i diritti umani, che gode di uno staff di altre mille persone (per restaurarlo la Svizzera ha speso cinquanta milioni di dollari).

 

A differenza della politica, contro cui si aizza il popolo, la casta dell'Onu è intoccabile perché ammantata di buoni sentimenti

Brett Shaefer della Heritage Foundation ha calcolato che in un anno il 45 per cento del budget dell’Unesco (circa 400 milioni all’anno) va di solito in spese del personale, viaggi e costi operativi. Denaro che non lascia mai la sede di Parigi. Il bilancio del fondo speciale Unesco dedicato alla salvaguardia dei luoghi più preziosi dell’umanità (come Palmira, per intenderci) rappresenta meno del cinque per cento del budget mastodontico dell’organizzazione. Il budget originario dell’Unesco, voluto da Julian Huxley, fu di sei milioni di dollari. Dal 1946 al 1976 è passato a 186 milioni. Dieci anni dopo, nel 1986, era già a 400 milioni. E da seicento dipendenti alle origini si è arrivati ai quattromila. Il direttore generale dell’Unesco ha due vice e undici assistenti. All’Unesco restano negli annali le spese folli del direttore negli anni Ottanta, Amadou Mahtar M’Bow, il senegalese che fece compilare dai suoi assistenti un report contro gli attacchi della stampa occidentale all’agenzia dell’Onu da lui diretta. Costo dell’operazione? 24.999 dollari. Uno di più e il direttore con passaporto senegalese avrebbe dovuto richiedere il nulla osta dei membri dell’Unesco. Epocale anche il caso dell’Alto commissario per i rifugiati, Jean Pierre Hocke, che ordinò che un numero intero della rivista mensile della sua agenzia fosse distrutto, al costo di 50 mila dollari. Perché l’edizione in questione era stata critica delle procedure di asilo della Germania sui rifugiati e delle condizioni in tre centri di accoglienza. Visto che la Germania forniva il dieci per cento del budget dell’Unhcr non era il caso di provocarli.

 

Anche gli ambasciatori stranieri di stanza a Parigi si abituano in fretta ai lussi di queste agenzie. C’è stato il caso dell’ambasciatore inglese all’Unesco Peter Landymore, che aveva un appartamento sulla Senna con vista sulla Torre Eiffel del valore annuo di 70 mila sterline, cui andava aggiunta una Bmw con autista e un’ulteriore spesa di 25 mila sterline per l’iscrizione a scuola del figlio. Dopo lo scandalo, la missione inglese di Parigi ha visto ridurre il suo budget nell’ultimo anno da circa 500 mila a 286 mila sterline, con il personale tagliato da cinque a due. La missione inglese a Roma, presso la sede della Fao, comporta un’ulteriore spesa di mezzo milione di sterline. Prima dell’uscita degli Stati Uniti e dell’Inghilterra dall’Unesco nel 1984, la segreteria a Parigi aveva uno staff di quattromila persone (oggi sono circa duemila). Il personale delle Nazioni Unite è letteralmente raddoppiato dal 2000 a oggi. Diciassette anni fa, l’Onu dava lavoro a 33.049 persone. Nel dicembre 2016, l’ultima cifra utile, erano diventate 76.234. Una cifra che non comprende chi è impiegato nelle operazioni di peacekeeping. Gran parte di questi lavorano per il segretario generale, la burocrazia vera e propria, triplicato dal 2000 a oggi, passando da 13.164 a 39.651 dipendenti. Scrive la Bbc che il numero di impiegati all’Unhcr, l’agenzia Onu dei rifugiati, è passato da 4.142 a 10.763. Un aumento del 160 per cento. Anche la Corte internazionale di Giustizia è quadruplicata dal 2000, purtroppo con scarsissimi risultati, spesso comici. I dipendenti dell’Onu a New York guadagnano in media 29,5 volte di più di un equivalente americano nell’amministrazione pubblica a Washington.

 

Il sessanta per cento del budget dell'Unesco deve coprire i costi di gestione. Il rapporto di Leif Christoffersen che denuda la Fao

Secondo la missione americana, diventata molto critica dell’Onu sotto l’Amministrazione Trump, i costi del personale coprono il 74 per cento del budget delle Nazioni Unite. Lo U. S. Government Accountability Office ha detto che il trenta per cento del personale che lavora per la segreteria dell’Onu rientra fra i dipendenti dirigenti o quadri. Sebbene l’Assemblea generale non abbia inizio fino al 18 settembre, ristoranti e hotel a New York si preparano per “il periodo più redditizio dell’anno” già ai primi di settembre. Le suite degli hotel più belli di New York sono pronte per l’arrivo di funzionari governativi, diplomatici ed entourage che a New York partecipano alla sessione di apertura dell’Assemblea generale. Alastair Smith, un professore di politica internazionale dell’Università di New York, ha detto che lo scintillio e lo shopping stanno uccidendo lo spirito dell’Onu. E ha suggerito che le Nazioni Unite, per salvarsi, dovrebbero andarsene da New York. Il finanziamento per la salute globale è cresciuto enormemente nel corso degli ultimi dieci anni, passando da 5,7 miliardi nel 1990 a 26,9 miliardi vent’anni dopo, ma questi soldi hanno in gran parte evitato di finire all’Organizzazione mondiale della sanità dell’Onu, a causa della cronica mancanza di fiducia dei donatori nell’agenzia.

 

A Ginevra, questa agenzia impiega 2.400 persone. Un po’ troppe considerato la sua difficoltà ormai palese nell’affrontare le epidemie internazionali, come Ebola. Intanto, però, come raccontava a giugno il Washington Post, aumentavano i costi di viaggio in prima classe per i dipendenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, che ha speso più per i viaggi del personale che per affrontare la malaria, la tubercolosi o l’Aids, indulgendo in voli di prima classe e alberghi a cinque stelle, contribuendo a una fattura annuale di 153 milioni di dollari. Ne è stato un esempio il soggiorno nella suite presidenziale dell’albergo a cinque stelle Palm Camayenne a Conakry, in Guinea. La suite normalmente costa 800 sterline a notte. A confronto, appena 55 milioni di dollari sono stati spesi per combattere l’Aids e l’epatite. Sulla malaria, l’Oms ha speso 47 milioni e per combattere la tubercolosi altri 45 milioni. Il Daily Mail, giornale che fa sempre le pulci alla burocrazia dell’Onu, ha scritto che quei 153 milioni equivalgono allo stipendio di 6.600 infermieri inglesi e a 27.200 sostituzioni dell’anca. Ginevra la chiamano la città con le camere d’albergo più costose del mondo. “Ed è molto costosa a causa di tutte le organizzazioni internazionali delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione mondiale della sanità in città”, ha dichiarato a Bloomberg Jan Freitag, vicepresidente senior della società di ricerca statunitense Str Inc. “Queste persone tendono a non pagare e questo significa che possono stare in proprietà di lusso”. Con un budget di un miliardo di dollari e 30 mila impiegati, la Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i palestinesi, in pratica è diventata una sussidiaria di Hamas.

 

 La spesa prevista per rinnovare il Palazzo delle nazioni di Ginevra, sede del Consiglio dei diritti umani, è di 846 milioni di dollari

Nel 1996, gli Stati Uniti con Bill Clinton suggerirono all’Onu di chiudere una delle sue agenzie più melliflue e assurde, l’Organizzazione per lo sviluppo industriale, che aveva il compito di promuovere l’industrializzazione dei paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di aiutare a eliminare la povertà. Con sede a Vienna (dove lavorano altri cinquemila dipendenti dell’Onu) e diretta dal cinese Li Yong, questa agenzia era stata abbandonata dal Canada e da altri sette paesi (Australia, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Lituania, Portogallo e Nuova Zelanda). Ma al gennaio 2017 l’agenzia aveva ancora 670 dipendenti e un budget di 460 milioni di dollari. Il direttore della relazione di riforma dell’Onu, Adnan Amin, un economista keniota, ha ben spiegato la situazione: “Ci sono circa 1.200 uffici nazionali dell’Onu in tutto il mondo. Metà del denaro va per le spese operative d’ufficio, lasciando una minuscola somma di denaro per la programmazione o le attività chiave”. L’Onu è diventata una mangiatoia. Con la doppia morale. Il funzionario delle Nazioni Unite che ha condannato la politica dell’edilizia britannica ha scelto uno degli hotel più belli e costosi di Londra. Si tratta di Raquel Rolnik, che ha soggiornato al Rubens, dove la camera più economica sta sulle 300 sterline. Il Rappresentante speciale dell’Onu sull’abitazione voleva pernottare all’ombra di Buckingham Palace, anziché vicino agli uffici dell’Onu, dove avrebbe avuto ottime camere ma per meno della metà del prezzo.

 

Per evitare di tagliare i propri stipendi, l’Onu ricorre ormai sistematicamente a una nuova figura: il giovane laureato non pagato. Il loro numero, scrive l’Economist, è passato da 131 nel 1996 a 4.018 nel 2014. Un esercito di giovani laureati disposti a lavorare, che se dovessero essere pagati costerebbero all’Onu fino a 13 milioni di euro l’anno. E’ il precariato della casta dei buoni. Il budget dell’Onu intanto è diventato elefantiaco. Nel 2000-2001 (il budget è biennale), questo era di 2,5 miliardi di dollari. Nel 2016-2017 era passato a 5,4 miliardi. Un aumento del 119 per cento. Ma se si va a guardare più nel dettaglio, quei 5,4 miliardi sono soltanto una piccola parte delle spese annuali delle Nazioni Unite. Nel 2010-2011, l’Onu ha pianificato 13,9 miliardi di spesa fra budget “ordinario” e “straordinario”. Un aumento di 968 milioni rispetto al biennio precedente. “E’ più facile districarsi nel budget americano, che è molto più grande, rispetto a quello dell’Onu”, ha scritto Brett Shaefer, esperto di Nazioni Unite, cui ha dedicato il libro “Conundrum”. L’Undp, il fondo Onu per lo sviluppo, spende in media sei miliardi, così come il World Food Program ne spende 6,3 e l’Organizzazione mondiale della sanità 4,2. I circa 7,8 miliardi di dollari per le operazioni di peacekeeping, spesso un fallimento plateale, sono conteggiate a parte dall’Assemblea generale.

 

La Heritage Foundation ha calcolato che il budget dell’Onu cresce al ritmo del 17 per cento all’anno. Senza contare che nove paesi (oltre a Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Canada, Spagna e Cina) contribuiscono per l’80 per cento del budget totale dell’Onu, anche se il Palazzo di vetro è dominato da dittature, oligarchie e satrapie. Gli scrocconi che violano ogni diritto umano e che se la spassano a New York, Ginevra, Vienna e Parigi. Senza dover rendere conto a nessuno, aggirandosi in una selva burocratica in cui l’Onu stessa fatica a muoversi, capita spesso che i dirigenti di questo baraccone etico arrivino ubriachi ai meeting. Così Joseph Torsella, vice ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite per la gestione e la riforma, si è presentato al comitato per il bilancio dell’Onu con una modesta proposta: “Le stanze per i negoziati dovrebbero essere in futuro ‘alcol-free’. Risparmiamo lo champagne per brindare al successo”. Un successo che nel caso dell’Onu, molto modestamente, consiste nel riuscire a scrivere il bilancio. Uno degli uffici più ambiti resta quello dell’Agenzia atomica dell’Onu. Sta al ventottesimo piano con una vista strepitosa sulla città vecchia di Vienna e sul Danubio. L’unica pecca, dicono i dipendenti, è che il fiume non è più blu come ai tempi di Richard Strauss.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.