Nelle sale italiane in questi giorni “Jackie”, il film di Pablo Larraín con Natalie Portman interprete di Jacqueline Kennedy (nella foto, del 1954, non ancora first lady ma da un anno moglie di John)

Jackie e le altre

Tiziana Della Rocca

Amori, gelosie, tradimenti, fino alla tragedia di Dallas. Il cinema riscopre la storia della first lady più famosa e bizzarra d’America

A parte Wallis Simpson duchessa fittizia di Windsor che voleva farsi sposare dal re d’Inghilterra Edoardo VIII, ma che insieme al futuro consorte fu costretta all’esilio per le sue propensioni naziste, bisogna ammettere che molte first lady e regine dal Novecento in poi hanno contribuito alla fama del consorte. Se alcuni re e presidenti inizialmente sono stati portati su strade più decorose, lo si deve all’apporto delle mogli che molto si sono date da fare, l’una affascinando per la sua bellezza, l’altra ispirando per la sua sobrietà o conquistando per l’intelligenza. Eccone alcune delle più famose.

 

Una di queste donne che soccorsero i loro mariti, anche nel momento più sanguinoso della loro esistenza, fu Jacqueline Kennedy, cui Natalie Portman nel film ora in circolazione rende onore per la sua ineguagliabile singolarità. Occorre sottolineare che la stessa Portman nel film appare ineguagliabile, differente eppure sorella di razza della Kennedy, sorelle per via della loro regalità, di un tocco che le rende insieme vicine e lontane. Di John Kennedy Jackie disse quanto fosse divorato dall’ambizione e che era impossibile fermarlo, lui correva sempre ad “alta velocità”; ma chissà, forse il futuro presidente era più divorato dal morbo di Addison, la malattia che l’aveva portato più volte a un passo dalla morte, costringendolo a vivere ogni giorno come fosse l’ultimo. Le donne le cercava sempre, con loro era un vulcano in eruzione, bruciava e consumava le innumerevoli avventure, neppure troppo avventurose visto che per lo più si svolgevano all’interno della Casa Bianca, tra una riunione e l’altra. Come furono i primi incontri tra Jacqueline e John? Nel 1950, la futura coppia presidenziale sempre di fretta consumò al solito dentro a una macchina. Una volta la pattuglia di controllo illuminò l’abitacolo, Jackie era svestita e John giocava con il suo corpo. Riconoscendolo, l’agente si scusò: “Continui pure, senatore”. Si amavano, forse anche per un po’ furono fedeli l’un l’altro. Poi lui riprese, irrefrenabile, la sua corsa. Qualunque moglie, tranne forse Hillary Clinton, l’avrebbe sbattuto fuori di casa o almeno preso a schiaffi, o preso a botte le cameriere e le segretarie, o almeno avrebbe fatto la faccia cattiva. Jacqueline no: si era adeguata al machismo dei Kennedy come d’altronde aveva fatto lui, che riteneva il suo comportamento assolutamente normale in quanto trasmessogli dal padre, celebre libertino. Non risulta che Jacqueline rimbrottasse John, semplicemente lavorava per il suo benessere e la sua tranquillità stando attenta a che la casa e la famiglia andassero bene, e che l’eleganza non fosse turbata. Lei non percepì mai il comportamento  del marito come faunesco, anche se si chiese spesso da quale bisogno fosse mosso questo suo impulso irresistibile, del resto non si seppe mai se John davvero traesse dai suoi incontri voluttà e piacere o fossero i suoi soddisfacimenti momentanei frutto di una sete inestinguibile.

Per lei non fu una sciagura né tanto meno fonte di frustrazione il fatto che dormisse raramente con il marito, non si sentiva inferiore a lui in questo, essendo a sua volta corteggiata e ammirata e desiderata. Durante il famoso pranzo all’Eliseo deliziò De Gaulle e a Vienna conquistò anche il rude Kruscev! Tennessee Williams, Elia Kazan, Leonard Bernstein, Saul Bellow le stavano tutti attorno. Un trionfo. Anche Jacqueline pare avesse le sue avventure, Marlon Brando raccontò la prima notte passata insieme: “Io le preparai le omelette, lei spense le luci, ballammo un lento, Jackie aspettava che le chiedessi di andare a letto insieme, alla fine me lo ha chiesto lei”.

 

 Il film con la Portman ha il suo momento più potente durante la processione in cui tutti i capi di stato sono a piedi dietro il carro funebre di Kennedy. Jacqueline appare al culmine della sua eleganza perfetta in abito nero e velo, abbagliante nel suo terribile lutto, incede maestosa, come avesse un cerchio magico attorno e trainasse tutti al seguito di suo marito, insieme a tutto il paese finito sull’orlo del precipizio, e in preda all’angoscia. I media erano euforici, la innalzarono subito a eroina: aveva tentato di tenere assieme con le mani la testa spappolata del marito colpito a morte dal proiettile, e così teneva assieme la nazione in questo dolore collettivo. Per essere degna di quel giorno aveva vinto con forza e determinazione il suo senso di impotenza e di vulnerabilità, ma sino a un certo punto. In verità, durante la camminata era sempre in allarme, trasaliva al minimo rumore terrorizzata che qualche sicario completasse l’opera colpendo lei e suoi figli. Resistette, non cercò né di evadere, né di anestetizzarsi dal pericolo, la sua fu una sfida colossale. L’obiettivo primario era onorare la figura del marito, eternizzarla, consapevole del suo ruolo nella storia.

 

Jacqueline, l’inappuntabile first lady, Rania, la ragazza che divenne regina di Giordania nel ’99 facendo innamorare e incuriosire tutti. E’ tuttora una bella ragazza, dal portamento impeccabile, considerata, anche lei, una delle donne meglio vestite al mondo. Insomma un lume che risplende e che distoglie gli animi tristi dei giordani, abitanti di una terra meravigliosa. Elegante Rania ma anche pronta ad aiutare le donne musulmane nella loro ricerca di libertà. E così è stato, si sono equiparati i diritti in alcuni campi, l’economia è migliorata, in barba alle tante minacce che stringono dappresso il paese.  Luce per il paese ha portato Rania, ma anche l’ha esportata, conquistandosi il favore di tanti stati; ha viaggiato in tutto il mondo sfatando così l’idea di una regina sottomessa: in lei si sente una libertà.  Ama il computer, intuendo la capacità di quello strumento, e stare a contatto con i sudditi, e di commentare l’attualità. Da allora le piace guardare la gente e anche farsi guardare, che è compito delle regine e anche loro piacere. Altro che Asma Assad, moglie del presidente siriano, una sciocchina insensibile dedita solo allo shopping più sfrenato, ai candelabri in particolare, chissà perché; e per niente sconvolta dal macello del suo popolo.  Trecentomila morti e passa non sono uno scherzetto, avrebbero fatto piangere chiunque, non lei che sembra si abitui a tutto, persino al male.

 

Al contrario di Asma, Rania si prodiga a favore dei profughi siriani, e ha condannato apertamente i  folli e macabri gesti degli estremisti islamici come frutto di menti deviate. La Giordania resta comunque il più pregiato dei bocconcini, e se venisse mangiata dai fanatici segnerebbe la fine di un antico regno.  Ciò che gli estremisti disprezzano della femminilità è la bellezza, il magnetismo, il fascino, l’eleganza, la forza e, l’erudizione, la libertà, l’impegno umanitario, la condivisione degli ideali dell’occidente. Tutte qualità di cui Rania fieramente fa sfoggio. Naturalmente, come avviene in quei paesi, mezza Giordania tuttora apprezza la regina e mezza la disapprova per i suoi gusti eccessivamente belli, le sue spese folli, la preferirebbe relegata nelle stanze avite e possibilmente avvolta in vesti consuete di penitenza. Quando nel 2010 celebrò con gran fasto i suoi quarant’anni nel meraviglioso deserto di Wadi Rum riesumando i favolosi fasti di Persepolis il popolo non le perdonò questo strappo.


Rania di Giordania


 

Quante cose tocca ai sudditi perdonare. Che la cattolicissima Spagna dovesse un giorno assistere all’ascesa al trono di una regina divorziata e borghese antimonarchica, nessuno spagnolo, nemmeno gli ultimi reduci della sanguinosa guerra fratricida, potevano aspettarselo. Che diavolo era saltato in testa al giovane principe Felipe, futuro monarca, di invaghirsi di una donna divorziata dal professore di latino? Una donna che di Dio e della Madonna non pareva tenere conto, anzi, e avrà fatto imbestialire nella sua esimia tomba la regina Isabella che cacciò dalla Spagna tutti i non cattolici.  Felipe s’impuntò e la volle a tutti i costi, questa creatura dai bei tratti guerrieri.  Il re Juan Carlos dal canto suo non poteva opporsi più di tanto, vista la sua fama di libertino sfrenato che umiliò la sposa Sofia, costretta a passare a una coniugale castità. I due giovani si sposarono e se la Spagna hidalga digrignò i denti, l’altra metà approvò eccome, una borghese aveva finalmente perforato la rocca inespugnabile dei Borbone e ora dettava legge.  “Regina Hipster” chiamano Letizia Ortiz, chi per lodarla chi per denigrarla, ma la battaglia regale l’ha vinta lei. Ma se inizialmente era considerata una parvenu, una astuta che si era sposata un principe per essere ammirata, riconosciuta, notata, ora la Ortiz pare una donna catturata da un enigma; non si se abbia davvero carattere e quale siano la sue qualità  forse solo il tempo lo svelerà.

 

E Diana? Ricordate la principessa Diana che non arrivò a diventare regina? Diana è scomparsa, i mille fiori di cui era circondata al suo funerale sono appassiti. Ora la si ricorda per la gran botta sotto il tunnel e per la canzone che il suo amico Elton John le dedicò. Sic transit gloria mundi quando non è proprio una gloria, qualcosa di misto forse, una disperazione, una nevrosi che fa scattare identificazioni e malesseri e lacrime. Kate Middleton è ben diversa, lei le lacrime non le sopporta, si è messa in testa di ridare lustro alla famiglia reale dall’inferno di storie insensate, dal bordello di amori senza capo né coda, e ci sta riuscendo in modo mirabile. Chapeau, Kate è già regina. Sfotterla, in quanto borghese e arrampicatrice, è davvero ridicolo e sciocco, ricordiamo che fu la borghesia raccontata da Dickens a fare grande l’Inghilterra, e quanto a destreggiarsi dagli intrighi densi di pericoli e malignità della casa reale e il compito faticoso dei tanti milioni di sudditi da conquistare, be’ lei ce l’ha fatta e ce la sta facendo con sempre maggior determinazione.

 

La fama è ulteriormente salita di grado,  coronata un annetto fa durante il Royal Tour in India: Kate ha sfoggiato gambe in vista sotto variopinte sottane stregando tutti; poi subito dopo in Buthan, il paese più allegro del mondo, si è data al trekking per ben tre ore arrivando a tremila metri, in gilet di pelle, jeans attillati e stivaloni, senza nemmeno sudare, Williams accanto a lei era sfatto e barcollante. Calma e serena, senza sfoggiare tenzoni letterarie o filosofiche, con un paio di vestiti e due giravolte al vento Kate seduce e doma il popolo inglese; tutto sembra naturale in lei, nulla di calcolato, non come Diana, che si sforzò di attirare su di sé l’attenzione per riscattarsi da Carlo che le preferiva un’altra e la trattava con freddezza. Incantevole, in un long dress firmato Alexander McQueen, la si è ritrovata smagliante qualche giorno fa, alla sua seconda volta sul red carpet dei più importanti premi cinematografici britannici. Lei è la premiata, premiata non per la sua capacità attoriale ma perché è impeccabile nel suo ruolo, e senza neppure sforzarsi di esserlo, e questo è grande cinema.

 

Piccolo e smorto il cinema di Melania, la sua avvenenza fisica non riesce a immettere nuova linfa vitale, a sedurre i media, forse appare troppo debole e remissiva o forse è a causa di questa sua ritrosia a stare sotto i riflettori… di lei si sa poco, è troppo sfuggente. Di sicuro si sa che non ha un gran potere di influenza su Trump, e da questo punto di vista esiste se non come fantasma della figlia Ivanka, che peraltro non è sua figlia ma la figlia dell’altra, Ivana, la prima moglie di Trump. Ivanka è bella, è amata, ascoltata dal padre che la riempie di complimenti; Trump sempre lo proclama: “io amo Ivanka”, e per poterla rallegrare si costringe ad amare anche il di lei marito. Al colmo dell’amore Trump è disposto a seguire quello che i due sposi preferiscono sia bene per Israele e Netanyahu osserva allibito tanta paterna munificenza. Curioso che il destino di Israele dipenda dall’amore di Trump per Ivanka e da quello di Ivanka per il marito, così religioso, dedito alla famiglia e agli affari. Israele sì, ma anche la corte di Erode: si ha come l’impressione che se Ivanka chiedesse la testa di qualcuno, che so, del bel presidente canadese che pare l’abbia assai colpita, Trump, pazzo d’amore, sarebbe pronto a concedergliela. Ivanka incede reale per i luoghi del potere, per quella Casa detta Bianca che tanti oscuri intrighi politici e sentimentali ha celato e cela; Ivanka non è sadica, tiranna, cattiva, anche se suo padre ha svelato la sua natura e s’inchina ai suoi piedi accontentandola in tutto. Ivanka è una Salomè saggia, della paterna follia sorride, e con uno sguardo riporta il padre alle sue funzioni. Sembra, oltre che umanizzare il padre, riscattare anche la madre, quella madre assurda e volgare che l’ha messa al mondo e che la figlia ha perdonato ma anche allontanato. Una santa? No di certo. Come il padre può col tempo e con la mole della vecchiaia e della noia rivelarsi saggio, la giovane donna potrebbe un giorno scatenarsi in un furore ben maggiore di quello paterno. Chissà, la famiglia Trump è imprevedibile e siamo solo all’inizio.