Foto di Maju Rezende via Flickr

Lo stato delle case

Michele Masneri

Una Leopolda degli affittacamere, e non solo. A Los Angeles Airbnb lancia Trips: viaggi ed “esperienze”

Centosettanta giornalisti provenienti da un centinaio di paesi, controlli di sicurezza da G8, fuori manifestazioni anti Trump, cartelli “not-my-president”, camioncini della Cbs e di primari network televisivi parcheggiati sul marciapiede. A Los Angeles si riunisce non un Bilderberg o una Davos qualunque bensì lo stato maggiore di Airbnb; dentro, ragazze in kimono, delegati cinesi, “superhost” spagnoli. E’ l’assemblea generale degli affittacamere, l’assise plenaria del bed and breakfast. Lo stato delle case (in affitto), dopo otto anni celebra la sua ulteriore trasformazione in player globale del viaggio. Sotto le volte del centenario Globe Theatre glorioso di stucchi perfettamente falsi nel pannoso e franante Art Déco losangelino, tra le guglie disneyano-babilonesi dei palazzi su Broadway, ecco la platea gremita e trepidante, e annunci ripetuti che “ladies and gentlemen l’annuncio verrà dato tra pochi minuti”, e dopo pochi minuti salgono sul palco i tre fondatori, l’amministratore delegato Brian Chesky, il responsabile del prodotto Joe Gebbia, e quello operativo Nathan Blecharczyk. Poco dopo Chesky rimane solo e parte il “keynote” tanto atteso, e si capisce che ormai forse Airbnb is the new Apple, per la liturgia da convention mistica e l’entusiasmo messianico eccessivo; e con buona pace del presidente eletto, Airbnb, new economy in purezza, punta di diamante del “cyber”, come chiama lui qualunque cosa accada dietro un computer e non comporti manifattura pesante, vale 30 miliardi di dollari (tre volte Fiat-Fca) pur non possedendo assolutamente nulla. Non certo i muri delle case – ormai 2,5 milioni in 191 paesi – che pure rimangono il core business, annuncia il boss globale Brian Chesky, trentacinquenne palestratello con uniforme à la Steve Jobs, pantalone nero e maglia nera, anche se verticalmente svantaggiato e privo della mistica o misticanza dell’inventore di Apple.

 

 

La narrazione o storytelling è molto Silicon Valley ma anche un po’ convegno dei giovani industriali a Capri (le prime file sono occupate dai fedelissimi che fanno partire e chiamano l’applauso, ci sono dei fumi artificiali da concerto o discoteca e una luce rosa che sottolinea i bicipiti degli speaker, gli addetti stampa sono sovreccitati). Hostess e steward allignano ovunque gentilissimi, non in tailleur ma in bomber di panno. Accanto al teatro non c’è l’hotel Quisisana ma il tempio hipster Urban Outfitters. Chesky parte raccontando la sua grande passione di ragazzino viaggiatore che voleva andare al Polo Nord e fu invece portato a North Pole, stato di New York (scorrono sullo sfondo immagini di lui bambino, sgranate il giusto – “ohhh, how cute!!” mugola il pubblico entusiasta come a un Angelus di Papa Francesco). Poi parte un video, la storia di un ragazzo, Francisco, che va a San Francisco. Francisco è gay, abita a Santiago del Cile, tutta la storia è filmata tipo una esterna di Maria De Filippi. Francisco dice che essere gay in Cile è molto difficile dunque viene in Silicon Valley dove trova casa con Airbnb e un gay anziano che lo consiglia e gli dice che qui non conta con chi vai a letto ma chi sei e cosa fai – e cosa guadagni, probabilmente, dato il prezzo attuale al metro quadro e in affitto nella Baia.

Francisco ritrova sé stesso, dice che si è tolto un grande peso, poi partecipa a un suo primo party fetish vestito da orsacchiotto, è felice nella sua stanza che presumibilmente costerà un tremila al mese, tipo i ragazzini che partono per la California nell’ultimo Muccino. “How sweeet” singhiozza la sala, e Chesky sfrutta il momento per lanciare l’annuncio tanto atteso: Airbnb d’ora in poi non sarà più solo il più grande locatore a breve termine del mondo ma farà proprio da agenzia di viaggi a 360 gradi. Un’agenzia di viaggi naturalmente non tradizionale, perché “è ora di rimettere le persone al centro”, dice, e soprattutto (non lo dice) nessuno ha più una lira per gli hotel e le business class, neanche le pance del paese che votano Trump. Ecco dunque “Trips”, un sistema di viaggi ed “esperienze” basate sulla gente, perché “the magic is in the people”, come ripete Chesky con una punchline forse suggerita dalle migliori menti della sua generazione qui a Hollywood. “Fino a ora, Airbnb si è occupato di case”, dice, “oggi invece riuniamo in un unico luogo i posti da visitare, le esperienze da provare e le persone da incontrare. Vogliamo restituire al viaggiare un tocco di magia, riportando le persone al centro di ogni esperienza”. “Esperienza” soprattutto è la parola magica, e se ci saranno voli, auto, spese a domicilio, tutto prenotabile dalla nuova app Airbnb – sul maxischermo compare naturalmente una elettrica Tesla, qui a chilometri zero, e drogherie organiche pronte a consegnare, e poi nuove guide ai posti, fichissime, anche audio – il piatto forte saranno proprio le “esperienze”, d’ora in poi si potrà non solo condividere il tetto e una socialità che fa ormai parte del vissuto millennial e millennial di ritorno, ma anche fare cose e vedere gente proprio come i “locals”, che è un po’ il plus a cui Airbnb ha abituato: mai più trappole turistiche ma “di tutto di più”, come un ex slogan Rai, in compagnia.

La piattaforma Trips viene lanciata con circa 500 esperienze in 12 città, comprese Los Angeles, San Francisco, Miami, Detroit, L’Avana, Londra, Parigi, Firenze. E dunque ecco che puoi fare surf a Malibu con un vero surfista, 199 dollari, un tuscan lunch con Massimiliano, vero toscano, 250 dollari; andare in disco con Courtney, vera esperta di disco. Oppure cose anche più estreme, tipo esplorare Città del Capo con un signor Swart, già carceriere di Nelson Mandela, che vi porterà a esplorare la prigione e i dintorni in una tre giorni emotivamente impegnativa (costo da definire). “Benvenuti nel mondo dei viaggi - Welcome to the world of trips” dice Chesky in un boato della folla mentre un signore ripete lo speech nella lingua dei gesti per eventuali utenti non udenti. Le ricadute saranno evidenti, soprattutto in termini di posti di lavoro e lavoretto soprattutto tra noi Pigs a vocazione intrattenitrice. E in un momento topico Chesky si mette ad armeggiare sul suo iPhone e cerca lui stesso la sua esperienza, progetta un viaggio a Nairobi dove seleziona diverse esperienze, cene e appuntamenti, perché un’altra novità sono i “meetup”, che non sono quelli di Beppe Grillo ma la fine definitiva della solitudine: arrivato in un posto infatti ti puoi prenotare per grigliate, caffè, teatri, ristoranti ma anche cene private, finendo a cena con sconosciuti (referenziatissimi) che in realtà dunque non lo saranno più.

Sarà la fine definitiva del turismo fai da te – mai più trappole turistiche, dice Chesky mentre dietro di lui sul maxi schermo vanno in onda foto di orridi negozi di gadget e pullman a due piani scoperti forse a Roma (chissà se Francesco Rutelli lo sa, l’ex sindaco è nel prestigioso board di Airbnb, ma qui non è venuto, oggi). Sarà soprattutto però la fine del viaggio solitario, sarà una comfort zone che ti porti sempre appresso, con “esperienze” e amici à la carte che se non lo sono ancora lo diventeranno prestissimo; e chissà cosa direbbero Claude Lévi-Strauss e Bruce Chatwin, e però è vero, arrivare in un posto nuovo dotati di smartphone e affittacamere socievoli ha reso la vita di expat meno cruenta, oltre che economicamente sostenibile. E qui parte un altro apologo, scorre la storia di Airbnb, nata nel 2008 a San Francisco per carenze di affitti in vista di un salone del mobile locale, e infatti nei primi tempi si chiamava Design Airbnb, quando i due studenti Chesky e Gebbia – che è un appassionato di design e Italia, ce lo ha detto in una intervista qualche tempo fa – decisero di affittare il loro divano, ospitando per primo un signore che si chiama Amol Surve, studente indiano. “Brian, perché non ci inventiamo un ‘designers bed and breakfast’, recita una storica email mandata da Gebbia al socio, “per ospitare giovani progettisti in questi quattro giorni, dandogli una connessione internet, un materassino, la colazione?”. La colazione consisteva in alcuni biscotti orridi precotti Pop Tarts gelati, narra la leggenda ormai parte della morfologia della fiaba Airbnb.

Mentre a San Francisco oggi, nemesi totale, Airbnb è in causa col comune che vuole salvare i residenti dai prezzi folli mettendo un tetto agli affitti brevi, che però non sembra la soluzione più intelligente, diciamolo, impedendo viceversa di costruire nuovi appartamenti; negli ultimi giorni il consiglio comunale si è spaccato infatti meglio che in un’aula Giulio Cesare, e seppur non in streaming, ha dato contemporaneamente avvio a una legge ammazza-Airbnb, con un tetto di 30 giorni all’affitto di stanze, e insieme bocciato la costruzione di un complesso di appartamenti a equo canone nella zona superfighetta di Mission. Dove i residenti da una parte vorrebbero prezzi più bassi, dall’altra parte soprattutto non tollerano straccioni a equo canone tra le caffetterie affluenti e gentrificate per caffè a 5 dollari. L’indiano Surve, qui coccolato – come dal medico Alberto Sordi la signora Parisi, prima cliente dell’ambulatorio del dottor Tersilli – non riconoscerebbe oggi forse la sua città, ed è qui solo in voce, ma figura in un prezioso video fatto con iPhone d’epoca dal valore inestimabile, che racconta quel soggiorno, dunque ancora San Francisco, una gita al farmer market al porto, selfie sotto la statua di Gandhi (oggi, qui, si possono comperare mandarini sostenibili di una cooperativa molto biologica, che vengono mediamente due dollari cadauno), e però “ho conosciuto la vera San Francisco”, dice, ed ecco le foto della antica casetta (“ohhhh”, sigh di nostalgia in sala). Per gli appassionati e/o feticisti, invece, Chesky nonostante il patrimonio di 3,3 miliardi di dollari ha continuato a mettere in affitto il suo divano nella casa sanfranciscana (noi lo si è cercato, però invano).

Mentre Gebbia, numero due, soli 3 miliardi di patrimonio, continua a viaggiare in case in affitto per il globo e posta costantemente su Instagram le prove dei suo viaggi (ma forse avrà dei sosia o algoritmi, mentre lui sarà in un Ace hotel con idromassaggi o allo Château Marmont, oppure invece nella roulotte lussuosa che qui a LA affitta, sempre su Airbnb, Tao Ruspoli, figlio del principe romano Dado, a Venice Beach). Però, che organizzazione: uffici stampa e sicurezza – briffata anche con misure anti-rivolta, perché in America tira una brutta aria, per affitti brevi e no – e stewart e hostess che distribuiscono comunicati e titillano interviste con orari e logiche efficienti e inflessibili; e si riflette molto su questi colossi non industriali e pop che però hanno un cuore non di panna. Poi tutti si corre a scrivere in una sala stampa perfettamente organizzata con addetti che vengono a rimettere in ordine le sedie ogni trenta secondi, e ti chiedono se hai bisogno di qualcosa, a tavoli uguali a quelli della Leopolda ma senza numeri sopra, mentre si attendono le interviste tipo superstar ai vari Ceo e Coo e Cto (“ci ha concesso quindici minuti, wow”). Ci sono spazi con divani – sull’estetica soft e cosy delle case Airbnb sono stati scritti già trattati – riservati ai “superospiti”, cioè i tenutari di case meglio recensiti, quella italiana è la signora Serena Patriarca da Roma, appena arrivata, un po’ spaesata, oggi segue uno speciale workshop a porte chiuse dedicato ai superospiti, appunto, tipo Cernobbio, e non la possiamo intervistare, è protetta più di Chris Lahene, già consigliere top di Bill Clinton, gestore del caso Lewinsky, portavoce di Al Gore: oggi ambasciatore globale di Airbnb, che è uno stato sovrano e ha i suoi sherpa, oltre che le sue beghe, tra comuni e commissioni tributarie locali e globali. Poi si torna nella nostra camera in affitto naturalmente in Uber, con autista modello-attore, in un traffico spaventoso con delle palme, tanti negozi per abiti da sposa, e lui chiede “ma voi a Roma che religione avete?”.

Torniamo nella casa di Wilshire Boulevard, tra villette disperate e dignitose, e sembra di stare in “Full of Life”, di John Fante – e lo scrittore farebbe senz’altro l’autista Uber e l’affittuario Airbnb, qui, oggi. Mentre nei prossimi giorni ci attendono appunto delle “esperienze” fichissime, tra cui un workshop di sceneggiatura televisiva. Poi parlerà Ashton Kutcher, già primario toy boy di Demi Moore, ma soprattutto saggio investitore nelle più redditizie aziende siliconvalligiane, e firmatario insieme al principe delle tenebre Peter Thiel di una lettera aperta contro il cattivo comune di New York che anche lui vuole multare gli affitti brevi. Poi finalmente si prenderà un aperitivo in un luogo ormai desueto e fuori moda, ma un tempo molto in voga: un albergo.

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