Matteo Renzi si reca al Quirinale per rassegnare le dimissioni (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Perché il Renzi bis significherebbe perdere la faccia

Mario Sechi

L'obiettivo dei partiti sembra essere quello di andare avanti e trovare uno che da qui a tot mesi prende schiaffi, calci, pugni e sputi mentre gli altri preparano la scialuppa

San Giovanni Diego Cuauhtlatoatzin

 

Poker istituzionale. “Se non riesci ad individuare il pollo nella prima mezz’ora di gioco, allora il pollo sei tu” (Rounders, regia di John Dahl, 1998). E’ la regola numero uno del poker e funziona alla grande anche nei casi di Palazzo. Chi è il pollo? La politica avicola ha un suo grande fascino, in questo caso bisogna seguire le tracce. Quali tracce? Le piume che stanno cadendo per terra. Tutto chiaro? Il pollo è Renzi. O meglio, è la figura che i partiti stanno tentando di cucinarsi con il riso e il curry, un condimento forte. Obiettivo, andare avanti e trovare uno che da qui a tot mesi prende schiaffi, calci, pugni e sputi mentre gli altri preparano la scialuppa. Il bis del Renzi, figuratevi i pensieri del Bomba di Firenze in questo momento. Su Repubblica la penna di “Gogo” (Goffredo De Marchis) s’intinge e dipinge il quadro: “Non accetto il bis o una nuova fiducia. Non faccio il capro espiatorio”. Il dramma di Renzi è di una estrema semplicità, il titolare di List l’ha messa giù così ieri sera a Night Tabloid (Rai2): “Un conto è perdere, un conto è perdere la faccia. Il Renzi bis significherebbe perdere la faccia”. La controbattuta è pronta: quante facce ha il segretario del Pd. Come tutti i politici ne ha più di una, ma se cala la maschera principale, evapora la cosa principale, il carisma, e senza quello ci sono soltanto pallide leadership, amministrazioni ordinarie di litigiosi condomini. Claudio Cerasa sul Foglio stamattina ha la sintesi giusta, il dilemma squadernato per bene, il problemone “è saper prendere in mano la situazione, non farsi inghiottire nel buco nero della Prima Repubblica e dimostrare che le sue dimissioni sono dimissioni da una postazione di governo e non da un progetto politico – ovvero da se stesso. Non sarà facile”. Perché? Tutto ruota intorno ai desideri del Quirinale, ricetrasmittente dei progetti di salvataggio del sistema dei partiti che sente rombare la mietitrebbia della contemporaneità, quella macchina che aveva già fatto la sua (ri)comparsa nelle campagne del Kent, nelle distese di grano dell’Ohio e ora corre senza ostacoli in lungo e in largo sulle dolci colline e le grandi pianure e perfino sulle cime delle Alpi d’Italia, al volante c’è Grillo. Il non detto della storia è questo, sanno tutti che il Movimento cinque stelle ha il vento in poppa, che i suoi consensi non vengono scalfiti dai Raggi spenti del Campidoglio, che anche le firme più che false in Sicilia e altrove non bruciano le aspettative dell’elettorato, che Dibba e Di Maio possono spararla grossa e mostrare scarso profitto scolastico in storia e geografia, ma sono in stato di grazia con il popolo. Giocare a fare la riforma elettorale senza un punto fisso in calendario è solo un rinvio della fine, se vuoi continuare un film in cui già scorrono i titoli di coda, devi scrivere un’altra fine, non allungarlo senza sapere cosa mettere nella sceneggiatura. Ciak, si gira. Renzi dov’è? E’ il pennuto vicino allo spiedo.

 

Giornali italiani. Primo caffè, Corriere della Sera: “Crisi, si accelera. Lunedì l’incarico per il governo”. A chi? “Mandato a Renzi o un esecutivo istituzionale”. Povero Matteo, nessuno vuole bruciarsi, che perisca lui. Chi fa Bruto? Seguire il filo steso da Francesco Verderami e scoprire che è sempre lui: “Le ombre sono dappertutto e per Matteo Renzi l’ombra più insidiosa ha il profilo di Dario Franceschini”. Sì, mai incontrarlo nel buio. Altro? Repubblica fa un gran bel numero. Titolo: “Colle in pressing: avanti Renzi. Draghi, un altro anno di aiuti Bce”. Ecco, Mario Draghi, segnatevi il nome e la data. Ha allungato il quantitative easing (fino a tutto il 2017) e ridotto l’ammontare degli acquisti di titoli di Stato (da 80 a 60 miliardi), ha dato ossigeno all’Italia e alla Francia. C’è altro sul quotidiano in progress? Sì, un Ezio Mauro delizioso a caccia delle orme di Rasputin, un viaggio in Russia che comincia sulla nobile spalla in prima pagina e finisce in una doppia a quota 36-37. Il dilemma: uccidere Rasputin? Sì, cospirare, complottare, finire per sempre, liquidare la figura, bruciarla. Senza immaginare che il fantasma sarebbe sopravvissuto a tutto, ricomparso sul dorso del cavallo della storia: “Il santo diavolo era lì per sempre, come la Russia eterna”. Da leggere. E guardare in controluce per cercarvi qualche lezione interessante sul presente. Dopo questo, difficile leggere altro. Il titolare di List segnala un paio di titoli. Il Fatto Quotidiano ne manda in tipografia uno che corrisponde alla realtà: “Le grandi manovre per non votare mai”. Libero stampa gli identikit dei signor nessuno delle consultazioni e impagina la conseguenza: “Anche i più sfigati ora parlano di crisi”. Sì, perché c’è un punto che sfugge ai più: Mattarella consulterà 26 gruppi parlamentari. Ventisei, ma non era questa l’era del bipolarismo? Mai visto un parlamento più polverizzato.

 

Migrazioni. Sono quelle degli italiani che vanno all’estero. Aumentano. Sono passati quasi inosservati gli ultimi dati dell’Istat: “Continua a crescere il numero delle emigrazioni (cancellazioni dall'anagrafe per l'estero), nel 2015 sono 147 mila, l'8% in più rispetto al 2014. Tale aumento è dovuto esclusivamente alle cancellazioni di cittadini italiani (da 89 mila a 102 mila unità, pari a +15%), mentre quelle dei cittadini stranieri si riducono da 47mila a 45 mila (-6%). Le principali mete di destinazione per gli emigrati italiani sono Regno Unito (17,1%), Germania (16,9%), Svizzera (11,2%) e Francia (10,6%)”. Sono sempre di più i laureati italiani con più di 25 anni di età che lasciano il Paese (quasi 23 mila nel 2015, +13% sul 2014); l'emigrazione aumenta anche fra chi ha un titolo di studio medio-basso (52 mila, +9%). Si chiama cercare fortuna.

 

Studia e non rubare. Titolo della Gazzetta del Mezzogiorno: “Comune di Cerignola, arriva con i biscotti la mazzetta di Natale”. Incredibile? No, è l’Italia. Ma il fatto eccezionale è che il sindaco, Franco Metta, quello che aveva apostrofato per bene uno studente che non faceva il suo dovere a scuola, ha chiamato le forze dell’ordine. Massimo Gramellini sulla Stampa chiosa il fatto in maniera ineccepibile: “Studia e non rubare. A pensarci, un vasto programma per il futuro”. Sì, un infinito programma. Studia e non rubare.

 

9 dicembre. Nel 1953 la General Electric annuncia che tutti i dipendenti comunisti verranno licenziati.