Papa Francesco parla ai pellegrini a Crocovia (foto LaPresse)

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Sul jihad Papa Francesco ignora il Dio degli eserciti, i giornali la propaganda via web

Mario Sechi
Sabaoth, il Dio degli eserciti, è una presenza costante nella Bibbia, non un episodio. Guerra e pace sono lo scenario dove si esercita l’onnipotenza di Dio. I testi sacri raccontano la realtà meglio del Pontefice e dei suoi collaboratori. Intanto le redazioni continuano a censurarsi e non adempiere al loro compito: informare.

    San Vittore I, papa, africano.

     

    Titoli. Dio degli eserciti o Dio della pace? La domanda viene da lontano. Sabaoth, il Dio degli eserciti, è una presenza costante nella Bibbia, non un episodio. Guerra e pace sono lo scenario dove si esercita l’onnipotenza di Dio. Cosa fa il Dio degli eserciti quando il suo popolo viene massacrato? Cosa fa il Signore onnipotente di fronte a un suo umile servitore sgozzato in Chiesa mentre celebra la messa? E’ una domanda a cui Papa Francesco risponde con la negazione della guerra di religione, riaffermando la sua più che opinabile teoria della terza guerra mondiale a pezzi. Nient’altro. Il Dio degli eserciti della Bibbia è sparito. La lettura militare e belligerante del Corano, base su cui si fonda l’idea del Califfato e delle sue sigle terroristiche, non esiste. La guerra secondo Papa Francesco “è per denaro”. Anche il prete sgozzato di fronte all’altare della chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray è stato ucciso per denaro? Singolare. I testi sacri raccontano la realtà meglio del Papa e dei suoi collaboratori. Matteo Matzuzzi sul Foglio mette a fuoco lo smarrimento della Chiesa di Francesco quando riporta le parole del grande Imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, che invita a continuare “il cammino di lotta contro il pensiero estremista, riformando il lessico usato in religione fino a quando il terrorismo non verrà strappato definitivamente dalle sue radici e saranno prosciugate le sue fonti”. La più importante autorità religiosa dell’Islam sunnita racconta la realtà che viene negata Papa.

     

    Adriano Sofri, in un pezzo magistrale sempre sul Foglio, torna alla questione di fondo, Cesare e Dio, e pone la domanda giusta: “Si può chiedere a un Papa di rivendicare bombardamenti aerei? Non credo, ma gli si può chiedere di non condannarli nel momento del soccorso. Mi pare che stia qui la distinzione fra Cesare e (il ministro di) Dio. Aggiungo subito che in quegli stessi giorni fior di pacifisti religiosi o no, che non avevano mosso un dito nei lunghi anni siriani né nei terribili mesi iracheni dal giugno all’agosto 2014, si mobilitarono “contro i bombardamenti americani e per la pace”. Un elenco fitto, non occorre che lo ripercorra qui oggi. Manifestavano per la pace, perché quegli infelici fuggiaschi braccati fin nelle grotte del Sinjar non avessero scampo”.

     

    I titoli dei giornali si fermano sulle parole del Papa e c’è chi vede nelle parole di Francesco un sottile pragmatismo. Stefano Stefanini su La Stampa: “Ieri Papa Francesco ha fatto un assist al mondo musulmano: «non è una guerra di religione», ergo l’Islam è innocente. Sta adesso all’Islam raccoglierlo, ai leader europei e mondiali pensare a come combattere questa guerra terrena”. Il risultato, finora, è la persecuzione dei cattolici nel mondo. Porgere l’altra guancia (sempre quella degli altri). E morire (sempre gli altri, però). Notevole. Le frasi del Pontefice non vengono accolte con tripudio da tutti. C’è chi le impagina con sconcerto. L’apertura di Resto del Carlino-Nazione-Giorno suona così: “Francesco assolve l’Islam”. Il direttore Andrea Cangini, commentando la decisione di Le Monde di non pubblicare più le foto degli attentatori, giunge a una conclusione che in questa storia di orrore, morte (e religione) assume una valenza generale: “Una guerra non può essere oscurata. Tacere il Male non serve a far trionfare il Bene”. Mario Calabresi, direttore di Repubblica, va in direzione contraria: “Abbiamo così deciso di evitare le foto dei giovani terroristi in prima pagina, di non mostrare le vittime e il sangue degli attentati e di non pubblicare sul sito i video più crudi e tutti quelli in cui ci sono morti o feriti”. Linea più che legittima che però non risolve il problema: il jihad elettronico.

     

    La propaganda via social dei terroristi islamici (e del terrorismo tout court) è uno dei primi punti da affrontare in questa guerra (sì, guerra) e finché su Twitter, Facebook e altri canali digitali ci sarà totale libertà di diffondere online qualsiasi cosa, la guerra è persa. Non pubblicare immagini e video a quel punto, rischia di essere contro-producente, perché non solo non ferma il flusso della propaganda, ma priva le redazioni di un elemento di cronaca da sottoporre a un’attenta analisi (cioè fare giornalismo) e l’opinione pubblica – quella più attenta e matura, determinante per informare gli altri – degli elementi fondamentali per sapere, per capire, per affrontare questa minaccia. I video dello Stato islamico sono documenti realizzati con una professionalità che va spiegata, il loro testo e sottotesto va letto con estrema attenzione. Facciamo un esempio: i video dell’Isis su Dabiq, la battaglia finale, in cui compare la città di Roma, sono propaganda. Cosa facciamo? La buttiamo nel cestino della redazione? No, perché è materiale prezioso per capire quali idee muovono le truppe islamiste e con quali messaggi si arriva al reclutamento dei miliziani.

     

    Torniamo ai social, a internet. Tutti i terroristi, dalla strage del Bataclan a Rouen, sono giovanissimi che hanno deciso di imbracciare le armi. E sono connessi. La loro vita (reale e virtuale) ha uno spazio online illimitato. Avete mai fatto un giretto su YouTube? Mettete sul search box queste tre parole: torture, Isis, Syria. Compariranno sul vostro schermo circa 156 mila video. C’è l’imbarazzo della scelta: tortura con l’elettricità, il fuoco, con il coltello, pestaggi a sangue, frustate, taglio dei piedi, taglio delle mani, sgozzamenti. E’ un campionario dell’orrore, una discesa negli inferi accessibile a chiunque online. You Tube è il mezzo di informazione e entertainment dei giovani. Il consumo di televisione è in costante declino, dei giornali su carta non parliamo per carità di patria. E’ più che sufficiente questo grafico del Pew Research Center sul pubblico americano (sono trend globali, valgono anche per l’Italia) per capire l’importanza del tema:

     

     

    La fascia compresa tra i 18 e i 29 anni è quella “ready to fight”, più influenzabile e “reclutabile” dalle sigle del terrore. Serve altro? Andiamo avanti. Uno studio della Quilliam Foundation di Londra sulle attività online dei gruppi dell’estremismo islamico dovrebbe far prendere aria a qualche neurone nelle redazioni dei giornali e nelle stanze del potere. E’ più che sufficiente questa tabella:

     

     

    In Francia e Inghilterra è in corso da anni una guerra pubblica e sotterranea che si combatte a colpi di messaggi online. Piattaforme che costituiscono la base ideologica (e religiosa) dei combattenti di oggi e di domani. I giornali? Sono un non-problema, anzi lo diventano se cominciano a non pubblicare i fatti, a esercitare la loro (sempre meno rilevante) funzione di racconto, analisi e critica. Confondere la libertà della Rete con uno spazio libero per l’estremismo, non mettere i titani di Internet di fronte alle loro responsabilità, porta dritti alla sconfitta. Stiamo così, stretti tra una idea di libertà letale, i giornali che si auto-censurano, una versione auto-consolatoria del terrorismo islamico (non è una questione religiosa, siamo di fronte a casi molteplici di disadattamento e depressione) e un Papa che predica l’amore inerme mentre le chiese vengono assaltate. Buona fortuna, Occidente.

     

    Il database di Isis. Le forze curde e arabe che combattono contro l’Isis in Siria hanno ritrovato materiale giudicato interessantissimo. File dai quali emergerebbe la strategia di Isis per reclutare i foreign fighters.

     

    Ergodan epura anche gli analisti finanziari. La repressione in Turchia raggiunge vette mai viste. Mert Ulker, analista della Ak Investments, seconda banca del paese, è stato rimosso e messo sotto indagine per aver pubblicato report che mettevano in guardia gli investitori sui rischi crescenti nel paese.

     

    Merkel interrompe le vacanze. E affronta la stampa. La cancelliera tedesca passa alla contro-offensiva dopo le critiche ricevute su due temi chiave della sua politica, rifugiati, Turchia e terrorismo.

     

    Germania, occupazione su, disoccupazione giù. Sono numeri di un’economia che ha un altro passo rispetto a quella degli altri paesi europei.

     

     

    Renzi nelle Marche e in Umbria. Continua il tour del presidente del Consiglio nelle realtà produttive. Agenda: Ore 10.30: Visita allo stabilimento “Arena” di Tolentino (Mc); Ore 12: Partecipazione alla cerimonia di apertura al traffico delle nuove strade statali 77 e 318 di Anas e Progetto Quadrilatero Marche-Umbria presso Colfiorito (Foligno, Pg); Ore 13.45: Visita allo stabilimento “Rocchetta” di Gualdo Tadino (Pg). E’ una strategia: lontano dalle polemiche, da Roma, dal partito litigante.

     

    28 luglio. Nel 1914, dopo l'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando per mano di un nazionalista serbo, scoppia la prima Guerra mondiale.