Il cortile di pietra

Gabriella Cantafio

di Francesco Formaggi, Neri Pozza, 302 pp., 18 euro

Per un attimo le due finestre nere spalancate e la fessura in basso gli sembrarono gli occhi vuoti e il naso schiacciato di un teschio”. Sembrava proprio un cimitero, il luogo in cui Pietro si ritrovò intrappolato come la lucertola che aveva appena catturato in un barattolo quando arrivò l’ispettore. Sei anni, figlio di un povero contadino e una donna gravemente malata, Pietro è il protagonista de Il cortile di pietra di Francesco Formaggi, condotto in un collegio da un uomo con una grossa pancia e la testa completamente pelata. E’ proprio all’ispettore che i genitori indigenti consegnano il figlio con l’auspicio di strapparlo a una vita di miseria e a una casa traballante. Ma ad aspettarlo c’è una struttura fatiscente con pavimenti sudici e tanto freddo, come quello che emanano le suore incutendo terrore con cinghie e punizioni. Allontanandosi dai suoi affetti su un carro cigolante, Pietro cerca di convincersi che si tratta di un distacco momentaneo, che presto le cose si sistemeranno e lui potrà tornare a casa. Ma purtroppo la realtà è ben diversa: le suore, con rughe che sembrano tagli e nei come piccole prugne, somministrano loro minestra di cavolo nero e sottili fettine di pane, ma non appena si lamentano ecco arrivare digiuno o punizioni corporali.

Per sopravvivere alla quotidianità scandita da tali angherie, Pietro si aggrappa alla sua irrefrenabile fantasia che lo salva dalla fossa ove periscono i bambini sofferenti. Così, con il desiderio comune di fuggire dal collegio degli orrori, stringe amicizia con Mario, un ragazzino minuto come se non fosse cresciuto abbastanza, denominato dalle suore “la peste” per il suo spirito di ribellione: tante volte tenta la fuga ma viene sempre riacchiappato e malmenato.

Pietro e Mario riescono a liberarsi dai soprusi grazie a una resistenza interna che oppongono all’abbandono e all’anafettività delle suore: spesso si rifugiano in un posto segreto in cui ammirare le api e sognare la libertà. “Siamo scappati, ce l’abbiamo fatta, siamo forti”, sussurra Pietro all’amico del cuore, fissando un fuoco che bramano di alimentare nel bosco. L’ennesima punizione a opera delle mani di ferro delle religiose infligge però la pena più pesante al gracile Mario, che lo condurrà inevitabilmente verso il sonno eterno. Il fato, frattanto, mette sulla strada dell’ormai affranto Pietro un pastore e suo figlio che lo aiutano a ritrovare serenità e affetto. I due lo riconducono anche nella sua vecchia casa dove ad accoglierlo ci sono solo recinti vuoti, imposte serrate e suo padre ormai irriconoscibile con una canna di fucile spianata. Così Pietro, dopo una prima sensazione di smarrimento, capisce che è giunto il momento di voltare le spalle al suo passato e proseguire il suo cammino di crescita affiancato dai nuovi amici che rappresentano la sua ancora di salvezza. Tutto ciò accade nell’Italia rurale del Dopoguerra, con coordinate geografiche e temporali indefinite, ma un messaggio vivido: i bambini sono capaci di combattere spontaneamente paure e sopraffazione armati di sogni e fantasia. Formaggi, descrivendo peculiarmente la natura benigna di campagne che ricordano la sua Ciociaria, intinge la penna nella psiche di anime innocenti, narrando con estrema delicatezza la vulnerabilità dell’infanzia. Per approfondire con purezza e accuratezza cotanta malvagità si affida alle voci di Pietro e Mario. Le pagine intrise di sofferenza, che commuovono e fanno inorridire i lettori, non generano mai pessimismo bensì tanta speranza. Come quella dell’amicizia tra i due bambini che annientano la perfidia degli adulti, seppur privati di tutto ma mai della voglia di vivere.

 

IL CORTILE DI PIETRA
Francesco Formaggi
Neri Pozza, 302 pp., 18 euro

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