Sociologi per caso

Alessandro Litta Modignani
Carlo Gambescia
Il Foglio Edizioni, 110 pp., 10 euro

    Prende spunto da un saggio di Robert Nisbet, “La sociologia come forma d’arte” (1962) il nuovo, originalissimo pamphlet di Carlo Gambescia, che chiama in causa sette giganti del pensiero di varie epoche e li trascina – loro malgrado, ma con risultati brillanti – sui sentieri freddi e impervi della sociologia. Succede così che Dante, Machiavelli, Evola, Jünger, Thomas Mann, Tolstoj e Pasolini diventino “sociologi per caso” e ci forniscano analisi e riflessioni che mai ci saremmo aspettati da loro. Ordine spontaneo (cosmos) oppure ordine costruito (taxis)?, chiede in premessa l’autore riprendendo la celebre distinzione di Hayek. Il “razionalismo costruttivista” è pericoloso, è la risposta squisitamente liberale di Gambescia, che poi cede la parola ai suoi illustri ospiti. Dante ci offre una “sociologia del soprannaturale”, un percorso unidirezionale e ascensionale, un “romanzo teologico” (secondo la definizione di Croce) che ha interessato molti sociologi. Gaetano Mosca, per esempio, usa l’Alighieri anche a riprova delle grandi costanti della scienza politica, delle ragioni politologiche “per ch’una gente impera ed altra langue” (Inferno, VII, 82). L’autore rende doverosamente omaggio a Machiavelli, “sociologo di razza” conflittualista e anti perfettista, sempre alla ricerca di un punto di equilibrio; dedica scabrosamente ben due capitoli a Evola, che vede nella sociologia una “componente pervertitrice”; imputa a Jünger di “non vedere il lato normativo del diritto” e di “ignorare la dinamica movimento/istituzione”. Poi si chiede: “Si possono leggere ‘I Buddenbrook’ come un’anticipazione a ‘Capitalismo, socialismo, democrazia’, di Joseph Schumpeter?”. La risposta è perentoria e ci viene offerta dallo stesso Mann.
    Che l’uomo del profitto, tipico del capitalismo moderno, sia una creatura dell’etica protestante puritana e calvinista, “è un’idea che io ho sentito e scoperta da solo”, scrive il grande autore tedesco. Solo più tardi egli scoprirà che dello stesso tema, e negli stessi anni, hanno trattato teorici del calibro di Weber e Troeltsch, e Werner Sombart dodici anni dopo. Semmai tutti quanti, me compreso – si premura di riconoscere Mann – siamo tributari di Friedrich Nietzsche, vero ispiratore e “catalizzatore più alto” del trinomio calvinismo-borghesia-eroismo. Con il “fattore Buddenbrook”, Mann anticipa egregiamente anche la crisi del capitalismo famigliare analizzata da Schumpeter. Dopo Tolstoj, la bella galleria si chiude con Pasolini, nel quale Gambescia individua un “consumato narcisismo” piccolo-borghese, manipolatorio, angusto e lamentoso. Lo scrittore e regista friulano vagheggia qui un passaggio dalla preistoria alla storia, fondato sulla transizione dal capitalismo (sviluppo economico senza progresso morale) al socialismo (sviluppo morale con progresso economico). “Roba da Festival cinematografico di Pola negli anni di Tito…”. Non più tenero il giudizio sul vero erede politico di Pasolini, Enrico Berlinguer: “Il suo pensiero, per quanto modesto, rimane un importante reperto fossile dell’arretratezza culturale del Pci (…) nei riguardi delle società aperte, libere, complesse, stratificate”. A sostegno della sua politica di austerità, Berlinguer non esita a citare, “con effetti tragicomici”, il primo ministro vietnamita, compagno Phan Van Dong. L’autore dice di non voler infierire, ma poi infierisce eccome. “Pasolini, con le sue fumisterie (…) rischia seriamente di venire celebrato come un eroe, anche sul piano del rinnovamento dell’analisi sociologica”. Ma ogni paese “ha gli eroi e i sociologi per caso che si merita: l’Italia ha Pasolini” è la caustica conclusione di Carlo Gambescia, liberale triste.

     

    SOCIOLOGI PER CASO
    Carlo Gambescia
    Il Foglio Edizioni, 110 pp., 10 euro