Ansa

Lettere al direttore

Una lista sportiva di cui fidarsi. Ma niente proscrizioni, grazie

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nella lista dei cento Sport Thinkers 2025 stilata da Mauro Berruto e Moris Gasparri sul Foglio del weekend ricorrono tre nomi di atleti palestinesi, di cui due purtroppo morti nella terribile guerra scatenata da Hamas il 7 ottobre, ma non trova posto neppure un israeliano. E’ la prefigurazione della proposta antisportiva che Berruto sta portando avanti nel Parlamento italiano: escludere Israele dalle competizioni sportive. Eppure, con un pizzico di onestà intellettuale, una piccola citazione gli israeliani se la sarebbero pur meritata. Nessun altro atleta al mondo affronta le competizioni con l’incubo di venir ucciso nel villaggio olimpico, come successe alla squadra israeliana a Monaco, e nessun altro atleta di nessun altro paese viene contestato così duramente e sistematicamente da decenni. Solo nel 2025, ciclisti israeliani sono stati aggrediti durante la gara in Spagna, alle premiazioni sul podio l’inno nazionale viene fischiato e talora gli altri atleti hanno mostrato le spalle ai colleghi israeliani. I tifosi israeliani hanno subito una caccia all’uomo ad Amsterdam. E potremmo continuare a lungo. Nonostante questa enorme pressione psicologica, restando al 2025, agli World Games di Chengdu gli atleti israeliani hanno raccolto sei ori, quattro argenti, quattro bronzi: gli israeliani, costretti a difendersi, continuano a scegliere la vita. Alle liste di Berruto preferiamo allora i tifosi della squadra di calcio tedesca Werder Brema, che nei giorni scorsi hanno esposto in curva uno striscione: “Globalizzare l’Intifada significa uccidere gli ebrei, solidarietà con Sydney”.

Yasha Reibman

 

Il Foglio è bello perché è vario, caro Yasha, e le liste del nostro Foglio sportivo sono una chicca straordinaria. Il nostro amico Berruto conosce perfettamente la storia del Werder Brema (Dio li benedica) e sono sicuro che in questi mesi avrà avuto modo di riflettere su quanto sia stato un azzardo proporre, come ha fatto e come gli abbiamo amichevolmente fatto notare, di boicottare Israele dal punto di vista sportivo. Lo sport israeliano resta un esempio eroico di libertà, anche perché molti atleti in questi mesi hanno criticato il governo, ma sulle liste sportive vale la pena fidarci ciecamente del nostro Foglio sportivo. Un abbraccio e a presto.


 

Al direttore - Darà finalmente l’Unione segnali di esistenza in vita dopo quanto sta accadendo, declassata come è a ricevere informazioni successive a negoziati o presunti tali tra i leader, da ultimo, fra Trump e Zelensky e dopo il diniego del visto di ingresso negli Stati Uniti a Thierry Breton e altri quattro esponenti? O continua a non reagire come il Pasquale del noto sketch di Totò che veniva bastonato e rideva perché le bastonate non erano dirette a lui? Di questo passo, Trump e Putin penseranno di compiere qualsiasi scelta per la vicenda ucraina: tanto l’Unione, dopo che avrà blaterato e vacuamente minacciato, non farà nulla. Si dirà che manca un generale consenso sul “che fare”, che non vi è una “single voice” comunitaria. Ma, se questo è il male, è ancora più colpevole il non far nulla né in un senso né nell’altro. Non vale neppure il “quieta non movere” perché le cose non sono quiete affatto. Con i migliori saluti. Buon anno a tutti.

Angelo De Mattia

 

L’Unione europea è un diesel, ci mette un po’ prima di prendere le decisioni giuste ma di solito poi le prende. Andrà così anche con Breton. E non c’è ragione di pensare che la Commissione non faccia quello che ha promesso: “Siamo pronti a reagire agli Stati Uniti in modo rapido e deciso”. Qualcosa succederà. Nella speranza che l’Ue abbia una chiave diversa dal protezionismo aggiuntivo da usare come leva per fustigare i nuovi nemici della libertà.


 

Al direttore - Bella l’intervista di Carmelo Caruso a Gaetano Manfredi. Quasi tutto ciò che ha affermato il sindaco di Napoli è condivisibile, a tratti sorprendentemente. C’è solo un neo, grande però: vale a dire il suo No al referendum sulla separazione della carriere perché, dice Manfredi, “la giustizia va riformata ma non è questa riforma che cambia la giustizia”. Obiezione legittima ma deludente, a dir poco, perdonabile solo perché di prese di posizione coraggiose in quella intervista ce ne sono parecchie. E non era scontato.

Luca Rocca

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