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Integrare Kyiv nei quadri di sicurezza europei converrebbe pure a noi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Quanto manca, secondo lei, al “No al genocidio… degli ayatollah”?
Giuliano Cazzola

Ayatollah-tà-tà.


 

Al direttore - Proporre Putin mediatore di pace è come proporre Dracula presidente dell’Avis. Ricordo, per inciso, che nel romanzo di Bram Stoker il tetro vampiro si ispira alla figura di un principe che ha proprio lo stesso nome del tiranno del Cremlino. Un giorno saranno gli psichiatri, più che gli storici, a spiegarci la subalternità di Donald il “Taco” (che sta per codardo) a Vlad lo “Zar” (che sta per leader forte e autoritario). In ogni caso, ormai è certo: Trump ha abbandonato l’Ucraina al suo destino. Per altro verso, la guerra israelo-iraniana sta oscurando la sua quotidiana devastazione, che prosegue nell’indifferenza dei media e dell’opinione pubblica internazionale. Eppure ai confini dell’Europa si sta giocando una partita cruciale per il futuro del nostro continente. Non sapendolo, mi chiedo: non dico Bruxelles, ma il gruppo dei paesi “volenterosi” sta sostenendo con gli aiuti militari promessi la coraggiosa resistenza di Kyiv? Dagli appelli di Zelensky, non parrebbe.

Michele Magno

Il suo sospetto è perfettamente legittimo. E per questo tutti coloro che, con piglio da volenterosi, cercano soluzioni per non lasciare l’Ucraina al proprio destino meritano di essere non solo elogiati ma anche supportati. Ieri un gruppo di parlamentari appartenenti a famiglie liberali, centriste o conservatrici ha scritto un appello interessante per suggerire una via per avvicinare l’Ucraina alle difese europee. I parlamentari in questione fanno parte della “Jef”, la Forza di spedizione congiunta, una coalizione militare multinazionale per operazioni rapide guidata dal Regno Unito, e si sono posti una domanda legittima: se la Nato non può compiere ulteriori passi verso l’inclusione dell’Ucraina, la Forza di spedizione congiunta dovrebbe farlo e potrebbe farlo. E dovrebbe farlo non solo perché l’Ucraina difende i confini dell’Europa, oltre a quelli propri, ma anche perché l’Ucraina è divenuta la forza militare più agile e avanzata d’Europa, perché la sua industria dei droni non ha eguali, perché la sua esperienza sul campo di battaglia nella guerra con i droni, nelle contromisure elettroniche e nelle strutture di comando dinamiche è ineguagliabile e perché nessuna forza militare in Europa è così collaudata in battaglia o così rilevante per la nostra sicurezza. Portare i volenterosi in Ucraina, a difendere l’Ucraina dalla Russia senza l’America, non sarà facile. Fare qualche passo per integrare l’Ucraina nei quadri di sicurezza europei potrebbe essere non solo giusto ma anche conveniente. Per difendere la sicurezza dell’Ucraina, certo, ma anche per difendere la nostra. 



Al direttore - Colgo l’occasione del vostro articolo per condividere alcune considerazioni su quanto accaduto durante l’ultimo Pride a Roma. Noi di Keshet Europe, in delegazione da diversi paesi del continente, abbiamo partecipato con entusiasmo, ma anche con timore per la nostra sicurezza. La parata è stata in larga parte bellissima: abbiamo ricevuto il calore e l’applauso di tante persone. Purtroppo, però, ci sono stati anche momenti dolorosi. All’arrivo, come documentato da diversi video, abbiamo subìto attacchi verbali provenienti dal carro dell’Arci. Ci è stato intimato di abbassare le nostre bandiere rainbow con la Stella di David, e ci sono stati rivolti insulti come “assassini” e “terroristi”. Alcune persone hanno persino mimato una pistola con le mani e alzato il braccio nel gesto del saluto romano. A tutto questo rispondiamo con fermezza: durante la Shoah ci imposero la Stella di David gialla. Oggi la portiamo con orgoglio sulla nostra bandiera rainbow, simbolo della nostra identità come ebree ed ebrei Lgbtqia+ Europe. Non la abbasseremo mai. E’ ora di smettere di fingere confusione: la nostra identità non è ambigua. Non riconoscerla è una scelta deliberata di esclusione. Inoltre, vogliamo smentire con decisione la falsa accusa secondo cui avremmo rifiutato di spegnere la musica per cinque minuti in solidarietà con il popolo palestinese. Nessuna richiesta, né ufficiale né informale, ci è mai stata rivolta. Quando ne siamo venuti a conoscenza, per caso e solo all’arrivo, abbiamo scelto di spegnere la musica per rispetto verso chiunque soffra – incluso il popolo palestinese. Nonostante ciò, siamo stat3 fischiat3 e insultat3. Questo episodio dice molto. Noi crediamo in una politica capace di superare logiche binarie e schieramenti ciechi. La pace nasce dal riconoscere la complessità delle storie, non dall’ignoranza o dagli slogan vuoti. Infine, riteniamo gravissimo che ci sia chi, nel movimento, voglia espellerci. Significa rinnegare la propria storia e le sue stesse attiviste: Mario Mieli, Gabriele Cohen, Corrado Levi, Wicky Hassan. Tutte persone ebree, tutte parte della nostra comunità. Escludere noi significa cancellare anche loro – e con loro una parte fondamentale della storia del movimento Lgbtqia+ in Italia. Cordiali saluti.

Ariel Heller, presidente Keshet Europe

 

Ai wokisti per Israele perdoniamo anche quel “3”, che sa molto di schwa, sì, ma che ricorda che i wokisti di tutto il mondo dovrebbero impegnarsi in un’azione congiunta: non dimenticare chi in medio oriente prova a difendere la libertà e chi invece no. Schwa e “3” compresi.
 

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