Foto Ansa

Lettere

L'Invalsi ci dice molto dei figli asini e ancor di più dei loro genitori

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Alla Camera ieri è stato presentato il Rapporto Invalsi 2023. Dai dati dei test emerge un quadro allarmante (e sconfortante). La metà degli studenti che termina le scuole superiori non è in grado di comprendere ciò che legge, né di destreggiarsi con la matematica. In italiano il divario tra nord e sud è di 23 punti percentuali, di 31 punti in matematica. Istruzione (e sanità): non sarebbe ora di occuparsi di questioni serie, invece che di gossip estivi? Vale per il governo e vale per l’opposizione.
Michele Magno

Un problema enorme. Che riguarda però non solo gli studenti somari ma anche i genitori somari che invece di preoccuparsi di far rigare dritto i figli pensano sistematicamente a come trovare un modo per dimostrare agli insegnanti di saperne più di loro. A volte ricorrendo al Tar quando un figlio non viene ammesso agli esami. Altre volte trasformando le chat su WhatsApp in un plotone di esecuzione contro l’insegnante di turno. Gli Invalsi ci dicono molto sugli studenti somari. Ma ancor di più ci dicono molto dei genitori asini. 



Al direttore - Temo di aver meritato un intero articolo sulla base di un equivoco. Sono, sì, una presidente “con policy”, ma non sul caso Facci. L’inaccettabilità del post di Facci, per me, non sta nel tratto sessista di una singola frase infelice, quanto piuttosto nel modo spericolato di trattare una notizia sensibile, incoerente con un media di servizio pubblico. La parità di genere non c’entra, anche alle presidenti “con policy” capita di contemplare altri orizzonti. Cordialmente. 
Marinella Soldi 


 

Al direttore - Le recenti polemiche sul caso del sottosegretario Delmastro hanno portato sotto la luce dei riflettori la questione della cosiddetta “imputazione coatta” quasi come fosse un paradosso del processo penale; ma come, dicono i critici, l’accusatore getterebbe la spugna e il giudice addirittura lo costringe ad andare avanti? In realtà il complicato bilanciamento di prerogative e poteri tra pm e gip affonda le radici nel tessuto costituzionale della nostra democrazia: la prima riforma di procedura penale post fascista fu proprio il ripristino del controllo del giudice istruttore sulla determinazione del pm ad archiviare (decreto legislativo luogotenenziale 288 del settembre 1944). Insomma, i futuri costituenti del governo Bonomi capirono che un pm libero di archiviare autonomamente è un pericolo per l’uguaglianza di trattamento dei cittadini; potranno capirlo anche i governanti di oggi?
Giorgio Colangeli
 
Bisognerebbe ricordarlo al presidente del Consiglio. E bisognerebbe anche ricordare alla premier se, aspetti giudiziari a parte, sia normale oppure no che un sottosegretario passi al suo simpatico coinquilino documenti segreti solo al fine di sputtanare in Aula l’opposizione. 



Al direttore - A proposito di intelligenza artificiale e delle possibili ricadute. Un mio amico ha fatto la seguente domanda: “Separazione delle carriere in magistratura, che significa in pratica?”. ChatGPT ha risposto. “La ‘separazione delle carriere’ in ambito della magistratura si riferisce al principio che prevede una distinzione tra le carriere giudiziarie e quelle dirigenziali all’interno del sistema giudiziario. In pratica, questo principio implica che i magistrati vengano suddivisi in due categorie principali: i magistrati ‘della carriera’ e i magistrati ‘dirigenti’. I magistrati della carriera sono coloro che si occupano principalmente dell’attività giudiziaria, cioè dell’esame delle controversie e della pronuncia delle sentenze. Questi magistrati in genere iniziano la loro carriera come giudici di tribunale e possono avanzare progressivamente verso ruoli più elevati, come giudici di Corte d’appello o giudici della Corte di cassazione. I magistrati dirigenti, d’altra parte, si occupano principalmente della gestione e dell’amministrazione del sistema giudiziario. Questi magistrati possono essere responsabili della supervisione degli uffici giudiziari, dell’assegnazione delle risorse, della pianificazione e dell’organizzazione delle attività giudiziarie, nonché dell’addestramento e della formazione dei magistrati. La separazione delle carriere è finalizzata a garantire una maggiore specializzazione e professionalità all’interno del sistema giudiziario. I magistrati della carriera sono selezionati e promossi in base alle loro competenze giuridiche e capacità decisionali, mentre i magistrati dirigenti sono scelti sulla base delle loro capacità di gestione e organizzative. Questo modello cerca di garantire che i magistrati siano in grado di concentrarsi sulle loro funzioni specifiche senza doversi preoccupare dell’amministrazione e della gestione dei tribunali. In teoria, dovrebbe anche consentire un sistema più efficiente e una migliore qualità delle decisioni giudiziarie”. Ti risparmio le mie considerazioni.
Cesare Pucci

Svengo.

Di più su questi argomenti: