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Altri guai per la Juve, ma una giustizia sportiva che ha scelto di autosputtanarsi non aiuta il calcio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Come valutare la missione di Macron in Cina? Nei termini illustrati ieri sul Foglio da Vittorio Emanuele Parsi: una manifestazione di gollismo fuori tempo massimo e di velleitario “gallismo” à la Asterix. Da un lato, una malintesa autonomia strategica dell’Europa, declinata in termini di equidistanza da Washington e Pechino. Dall’altro lato, un ossequio formale alle istituzioni dell’Ue, ma ribadendo che è Parigi a recitare un immaginario ruolo guida. Infatti, la compagna di viaggio del presidente francese, Ursula von der Leyen, ha dovuto sottostare a un diverso e umiliante protocollo. Il risultato non poteva che essere un enorme assist a Xi Jinping, che lo ha usato per mostrare il differente peso che la leadership cinese assegna a uno stato nazionale e a un “sovrastato artificiale”. Inoltre, Macron ha dovuto prendere atto che Xi Jinping non ha alcuna intenzione di essere strattonato per la giacchetta da chicchessia, né sulla guerra in Ucraina né, men che mai, su Taiwan. Insomma, al netto di qualche lucrosa commessa industriale, un buco nell’acqua.
Michele Magno

 

Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha utilizzato parole interessanti per commentare le uscite di Macron. Ha detto che “sulla questione del rapporto con gli Stati Uniti, è chiaro che ci possono essere sfumature e sensibilità attorno al tavolo del Consiglio europeo”. Ha ammesso che “alcuni leader europei non direbbero le cose nello stesso modo in cui lo ha fatto Emmanuel Macron”, ma che è indubbio che “parecchi la possano pensare come Emmanuel Macron” sul dossier dei rapporti tra l’Europa e la Cina. E ha aggiunto infine che l’alleanza tra Europa e Stati Uniti è ovviamente strategica ma “se questa alleanza supponesse la necessità di seguire ciecamente, sistematicamente, la posizione degli Stati Uniti su tutti i problemi, no”, non lo sarebbe. Senso del ragionamento di Michel: descrivere Macron come un disertore del campo occidentale che si occupa solo di affari con la Cina è sbagliato e riduttivo. E riequilibrio ovviamente non vuol dire equidistanza. Bravo Michel.

 


 

Al direttore - Per non farci mancare nulla, si è appena appreso dell’ennesimo episodio di eco-balordaggine andato in onda nei giorni scorsi, protagonista stavolta il collettivo inglese “Tyre Extinguishers”, cosiddetto. Oggetto delle attenzioni degli adepti della gnosi ambientalista, i Suv di alcuni malcapitati residenti in una zona di Bologna, a cui è stato sgonfiato un pneumatico. Motivo di cotanto atto eroico? “Rendere impossibile possedere un enorme, inquinante 4x4 nelle aree urbane di tutto il mondo”, si legge nel testo della rivendicazione (anvedi) lasciato in omaggio sul parabrezza delle vetture, con annesso invito a muoversi per una giornata a piedi o in bici. Non trova anche lei encomiabile, direttore, lo zelo e la passione e lo slancio di questi giovani che ci costringono, te piaccia o non te piaccia, a essere cittadini responsabili e attenti alle sorti del pianeta, allo stesso modo di tutti coloro che in altri ambiti ci costringono ad essere buoni, tolleranti, inclusivi, accoglienti, solidali, eccetera eccetera eccetera? Non trova anche lei encomiabile l’empatia mostrata da quel collettivo nei confronti dei proprietari dei Suv quando scrivono: “Attenzione, abbiamo sgonfiato un pneumatico del tuo Suv, ti arrabbierai, lo sappiamo. Non ce l’abbiamo con te ma con la tua auto”? E pazienza se appare un pelo controintuitivo che un Suv possa inquinare così, da solo, senza cioè che qualcuno lo compri, lo metta in moto e lo faccia andare in giro, non vorremo mica stare a cincischiare, su. Ecco, non so a lei ma a me tutto ciò commuove. Quasi quasi voglio essere anch’io un cattivista climatico.
Luca Del Pozzo

 


 

Al direttore - Non sono juventino ma nelle accuse della giustizia sportiva intravedo pesanti tracce di accanimento moralistico: la slealtà non è reato e le sentenze dovrebbero occuparsi solo di quello.
Mauro Pellati

 

Le notizie di ieri ci dicono che è stata notificata alla Juventus, e a otto dirigenti o ex dirigenti del club (Andrea Agnelli, Fabio Paratici, Pavel Nedved, Federico Cherubini, Giovanni Manna, Paolo Morganti, Stefano Braghin e Cesare Gabasio) l’avviso di chiusura delle indagini per le cosiddette “manovre stipendi, partnership e agenti”. A queste notifiche, si legge, potranno seguire l’archiviazione, il deferimento e quindi il processo oppure il patteggiamento. Di cosa si tratta? Si tratta di un filone parallelo a quello già noto relativo al caso delle plusvalenze. E si tratta di una nuova indagine della procura sportiva. C’è ciccia questa volta? A differenza del caso delle plusvalenze, caso all’interno del quale la Juventus è stata prima assolta e poi successivamente condannata dalla giustizia sportiva a seguito di alcune intercettazioni derivate da un filone di indagine portato avanti dalla giustizia ordinaria, questa volta qualcosa potrebbe esserci rispetto al tema delle false comunicazioni (il reato di falso in bilancio può essere configurato anche senza che il falso sia stato commesso: basta solo tentarlo).

Ma le indagini portate avanti dalla giustizia sportiva presentano ugualmente diverse criticità. Il primo punto è sempre lo stesso: una giustizia sportiva che sceglie di sostituirsi alla giustizia ordinaria e che trasforma la presunzione di colpevolezza in un mantra fino a che punto può essere credibile? Secondo: una giustizia sportiva che ha scelto di processare due volte una squadra per uno stesso reato anche qui che tipo di credibilità può avere? Terzo punto: una giustizia sportiva che sceglie di penalizzare una squadra non all’inizio di un campionato, il prossimo, ma durante un campionato, quello in corso, quanto può essere considerata una giustizia che risponde più allo stato di diritto che alle pressioni mediatiche? È possibile che la Juventus abbia commesso molti dei reati per i quali si ritrova a processo ma è impossibile non notare che una giustizia sportiva che ha scelto di autosputtanarsi non aiuta il calcio italiano ad avere qualcosa che somigli anche lontanamente a un giusto processo. Forse sarebbe ora di pensare a riforme più ambiziose, per il mondo del calcio, anche finalizzate a dotare il sistema sportivo, come si dice, di organi giustiziali più robusti, indipendenti e interamente dedicati.

 


 

Al direttore - C’è una grande emergenza dinanzi a noi ed è il Servizio sanitario nazionale, a 45 anni dalla sua istituzione. I fattori che stanno contribuendo alla morte annunciata del nostro Sistema sanitario sono gli effetti della curva demografica e gli accresciuti bisogni di una popolazione che invecchia sempre di più e  non in buona salute; il sottofinanziamento del servizio sanitario pubblico che ci colloca ormai molto vicini alla soglia del 6 per cento del pil e tendenzialmente anche al di sotto, ben lontani da Francia e Germania di circa due punti; l’accresciuto impegno di risorse private delle famiglie che hanno raggiunto la cifra record di 40 miliardi. Insomma, possiamo dire che mentre l’investimento della spesa sanitaria pubblica in termini percentuali sul pil è ritornato ai livelli del 2005, con un andamento fermo se lo valutiamo a parità di potere d’acquisto, viceversa la spesa interamente privata è quasi raddoppiata, passando dai 28 miliardi del 2005 agli oltre 40 miliardi attuali. Non vi è stata nessuna risorsa in più, da parte di questo governo, nonostante la pandemia, con ulteriori difficoltà legate all’inflazione e ai costi energetici. Allora mi domando perché vi è l’ostilità ideologica a non utilizzare le risorse del Mes, che sarebbero state di grande utilità. Non bisogna essere ipocriti, oggi siamo ben lontani dal dettato dell’articolo 32 della Costituzione, il sistema universalistico nella sostanza non esiste più o continua a esistere nell’area dell’emergenza e dell’urgenza, pur con tutte le difficoltà. Le lunghe liste di attesa comportano un doppio binario aggravato dalla intramoenia, oggi ulteriormente estesa. Il sistema è stato penalizzato anche dai fondi integrativi, che hanno drenato risorse in termini di agevolazioni fiscali, fornendo il più delle volte prestazioni sostitutive e su cui non c’è nessuna riflessione critica. Nessuno è contro le assicurazioni private, ma non si comprende perché debbano avvalersi di agevolazioni fiscali. Non abbiamo molto tempo, anche la grande sfida del Pnrr e dei fondi complementari, che valgono nella sanità circa 30 miliardi di investimenti in conto capitale, devono avere la certezza di essere messi a terra, soprattutto in termini di risorse umane di medici, infermieri e tecnici, per non ritrovarci con le classiche cattedrali nel deserto. Va ripresa la discussione sul superamento del numero chiuso universitario, vanno agevolate nelle politiche migratorie tutte quelle figure professionali utili a rafforzare il nostro sistema, siamo i quartultimi in area Ocse per rapporto infermieri/popolazione. Vanno riviste le retribuzioni tra le più basse a livello europeo. Non basta lo slogan “difendere il Servizio sanitario nazionale”, perché il rischio è la difesa di un bidone che si sta svuotando. 
Alessio D’Amato

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